L’Italia ‘attraversa una fase inquieta’, si legge nel rapporto, “per conseguire un livello di sviluppo più alto, ma soprattutto più stabile, deve accelerare alcune riforme strutturali e non accontentarsi dei vantaggi acquisiti, ma cambiare i comportamenti cosi’ come le regole e le politiche comunitarie richiedono”.


La situazione economica e sociale del paese “è sostanzialmente stabile, anche se è peggiorata per gruppi specifici di popolazione”. E “a fare aumentare le incertezze sul futuro e il clima di sfiducia è l’ampliamento della flessibilità del mercato del lavoro”. Per questo, “oltre a realizzare le riforme che tutti auspicano, occorre impegnarsi per una più equa distribuzione del reddito e del lavoro, per lo sviluppo dei consumi e per un sistema di welfare più attento ai bisogni reali dei cittadini”.

L’andamento dell’occupazione nel Paese, nel rapporto annuale dell’Istat, è fatto di luci e ombre.
Le luci stanno tutte nei dati fino al luglio 2003: ottavo anno di crescita nell’occupazione con un aumento di 231 mila occupati pari al +1% in media annua, realizzato nonostante la modesta crescita economica, in controtendenza rispetto ai partner Ue e messo a segno grazie al boom del lavoro atipico, dice ancora l’Istat, che calcola come sui 2 milioni di occupati in più registrati dal 95 al 2003, 700 mila siano part-time e 550 mila siano contratti a termine.

E poi le ombre: battuta d’arresto della crescita a partire dal luglio 2003 con un ‘recupero’ nel 2004 (45 mila occupati in piu’) spiegato oltre che dalla regolarizzazione per sanatoria degli immigrati, dai ‘co.co.co’, anche e sopratutto dall’aumento della presenza di occupati nelle classi di età sopra i 45 anni. Un aiuto decisivo se, come ricorda l’Istat, “il saldo positivo di circa 718 mila occupati in più tra gennaio 2001 e gennaio 2004 è spiegato al 60% dalla maggiore permanenza degli occupati con oltre 50 anni, contributo che sale al 70% se si considerano gli occupati con più di 45 anni”.