Differenze e diseguaglianze: “Le differenze sono un valore, non dobbiamo permettere che vengano trasformate in diseguaglianze e quindi in conflitti”. Umanità e razze: “Le razze nell’umanità non esistono. Nelle vene di tutti noi scorre un unico sangue rosso. Esiste l’umanità, la persona al maschile e al femminile, ovunque, con diversità culturali, fatte per attrarci, perché possiamo dialogare”. Libertà e rispetto: “La libertà è un valore universale e non negoziabile. Se c’è libertà deve esserci rispetto: rispetto della libertà di ciascuno, rispetto della libertà di andare in sinagoga, in moschea o in chiesa, oppure di non andarci”. Amore e franchezza: “Ci è stato detto di amare gli altri. Non so se io riesco ad amare proprio tutti. Ma certo posso e devo rispettarli. E’ già un buon passo. Viviamo in un mondo tumultuoso, non c’è dubbio, ma non dobbiamo accondiscendere alle diseguaglianze e alla mancanza di libertà”.

Questo è ‘Tramandare, partecipare, costruire’ in una città del mondo, che sia Reggio Emilia o qualsiasi altra, nelle parole essenziali di Tahar Ben Jelloun, uno dei maggiori narratori, poeti e saggisti nordafricani, con un profondo impegno sociale, educativo e inclusivo che gli permette di definirsi “scrittore e cittadino”.

Nato a Fès (Marocco) 72 anni fa, Ben Jelloun vive, scrive (fra l’altro per Le Monde e la Repubblica) e insegna a Parigi, quale esponente di una cultura mediterranea (nordafricana ed europea) aperta e plurale.

Oggi è ospite di Reggio Emilia: ha dialogato in mattinata con più di 400 studenti delle scuole superiori nell’Aula magna dell’Università e stasera prosegue il confronto con i cittadini nell’Auditorium Gerra del Centro internazionale Loris Malaguzzi, dopo aver approfondito il pensiero educativo del Reggio Emilia Approach.

‘Reggio Emilia una città nel mondo. Tramandare, Partecipare, Costruire’ è appunto il titolo di questa giornata reggiana dello scrittore, promossa da Comune di Reggio Emilia, Provincia, Istituzione Scuole e Nidi d’Infanzia, Arci Reggio Emilia, Reggio Children, Fondazione Reggio Children, Fondazione Mondinsieme e Fondazione E35.

“Grazie a Ben Jelloun riflettiamo oggi su temi cruciali del nostro tempo. E lo facciamo coinvolgendo non a caso i giovani, valorizzando il loro protagonismo e il ruolo che l’educazione e la cultura devono avere in questo ambito. Perché, ricordiamocelo, la storia ha fatto dei passi avanti proprio quando i giovani hanno combattuto battaglie per i valori”, ha detto il sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi, presentando l’ospite, insieme con le assessore comunali a Educazione Raffaella Curioni e alla Città internazionale Serena Foracchia ed alla vicepresidente della Provincia Ilenia Malavasi.

“E’ stato così nel 1797 – ha proseguito il sindaco – quando nella nostra città un gruppo di ragazzi ventenni diede vita alla bandiera Tricolore quale simbolo di libertà, uguaglianza, democrazia. Ed è stato così tra il 1943 e 1945 quando un’altra generazione di ragazzi andò sulle nostre montagne a combattere per liberare il Paese e difendere la dignità umana e la democrazia. Lo stesso è stato con i ‘ragazzi dalle magliette a strisce’, giovani operai che furono uccisi nel 1960 mentre chiedevano uguaglianza, democrazia e migliori condizioni di lavoro.

“La questione oggi culturale, perché la dimensione dell’accoglienza non va mai persa di vista, in un quadro globale così come in un contesto locale – ha aggiunto Vecchi – Fino a due anni e mezzo fa parlare di profughi generava empatia, mentre oggi mi trovo sempre più a dover rassicurare le persone, rispetto a paure eccessive. Dobbiamo sforzarci di parlare alla mente delle persone. Perché dovremmo avere paura di questi ragazzi? Oggi abbiamo in città 950 richiedenti asilo che vogliamo avviare a percorsi inclusivi di cittadinanza. Dobbiamo costruire ponti, non muri, non rassegnarci alla dimensione della paura. Dobbiamo investire sulla cultura, sulla potenzialità diffusiva dell’educazione, per disseminare valori che portino a una comunità plurale e inclusiva. Nella nostra città 25 anni fa avevamo l’un per cento di stranieri, oggi siamo al 18 per cento. Abbiamo con noi 30.000 persone di 100 diverse nazionalità, in una città che non è una metropoli. Abbiamo accolto i cittadini migranti attraverso il dialogo, l’ascolto, come stiamo facendo qui oggi, consapevoli e convinti che questa sia la strada di una crescita comune”.

“Cosa significa attuare la libertà e dunque rispettare le altre persone? – ha spiegato Tahar Ben Jelloun – Significa non mentire, non usare le persone per fini personali. La violenza ci preoccupa? Certo, e non dobbiamo rassegnarci ad essa. Ma la violenza è purtroppo parte della storia e pensiamo a cos’è stato il passato in termini di violenza: interi popoli sterminati, annientati. Riflettiamo: non esiste altro essere vivente, eccetto l’uomo, che si riunisca per decidere come liquidare un popolo, come e dove piazzare ordigni… Non fanno così gli animali. Eppure l’uomo non è ‘lupo’ per l’altro uomo. L’uomo è invece semplicemente ‘uomo’ per l’altro uomo. E’ capace di ogni cosa, verso i propri simili, questa è la realtà da cui non possiamo prescindere.

“Ora la minaccia è il terrorismo, che non è una novità quantomeno dal periodo del Terrore durante la Rivoluzione francese – ha proseguito lo scrittore – Il terrore genera terrore, colpendo persone che non hanno fatto nulla, è imprevedibile e invisibile. Vi aderiscono persone, di solido giovani, anche con una vita del tutto ‘normale’, magari studenti come tanti, che raccolgono questo ‘appello alla morte’: entrano nel terrorismo jihadista per ‘difesa’, ritengono, per ‘rinascere’ attraverso la morte. In questo meccanismo, si ritiene di fare uno sforzo ulteriore, di dare il massimo, per essere e ottenere il meglio: l’istinto di vita muta e diventa istinto di morte per passare a quel che si pensa essere il meglio. Ma, è evidente, si cancella un principio di libertà: la vita e la morte vanno rispettate, in ciascuno rispetto a ciascun altro.

“Non dimentichiamo però che spesso questo è spesso una risposta al razzismo, alla disoccupazione al 45%, a un’istruzione del tutto insufficiente, all’emarginazione, al grigiore, a zero opportunità, come avviene nelle banlieue parigine, ove non a caso ogni 10-15 anni si presenta una rivolta. Lo stato islamico è letto come una risposta da 30.000 giovani che vi aderiscono da ogni parte del mondo, è proposto come fine della paura, della discriminazione; ed è fine della libera volontà personale. Da laico vi dico però che l’Islam non è nulla di questo. Nel Corano si legge addirittura: se uccidi una persona, uccidi l’umanità.

“Ci chiediamo a questo punto: cosa fare?, come fermare e difendersi? – ha detto Ben Jelloun – E’ assai complesso e non immediato fermare il terrorismo. La difesa immediata è nelle forze di polizia, di sicurezza, di intelligence… Ma anche nella scuola e nella famiglia, nella cultura in una prospettiva più ampia e lunga. La cultura è cruciale. Cominciamo a intenderla come qualcosa che, da sempre, è in movimento, come un grande fiume, che riceve acqua dalle differenze dell’umanità, che sono i suoi affluenti. Abbandoniamo l’idea di una cultura superiore e altre inferiori. In base a cosa una cultura è inferiore o superiore a un’altra?

“Cominciamo con il considerare la cultura così, come un grande fiume e già avremo una risposta alla paura delle differenze e a coloro, come certi politici, che usano la paura per propri fini: quante paure si costruiscono con fini personali, di consenso, dicendo cose non vere, non rispettando le persone. E quanti la pensano così, quanti in definitiva condividono questa modalità: pensiamo alle recenti elezioni in America, a certe situazioni in alcuni stati europei, per dire che non parliamo di situazioni astratte e lontane, ma concrete e vicine… Sforziamoci di essere consapevoli di questo: anche noi potremmo diventare persone dominate, piano piano, giorno dopo giorno preparate alla violenza: si può cominciare con cose lievi, come i piccoli insulti, per arrivare al razzismo, che per definizione non è mai light.

“La civiltà è cultura e il sapere è rispetto dell’altro: partiamo da qui – ha concluso Tahar Ben Jelloun – costruiamo questo nel dialogo, nei nostri luoghi di vita, a cominciare dalla scuola e dallo studio, non sottraiamoci al confronto, non abbiamo paura delle differenze, che alla radice sono astrazioni. Credo sia un modo per far sì che le differenze non divengano irrimediabili diseguaglianze e generino violenza”.