Sono trascorsi 74 anni dalla notte di quel 25 gennaio 1945, quando a Canolo di Correggio un gruppo di partigiani appartenenti al Gruppo di Azione patriottica (Gap) e alla Squadra di Azione patriottica (Sap) ingaggiò un violento scontro armato con le truppe tedesche e fasciste.

Per ricordare quell’evento, il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha partecipato questa mattina a Correggio (Re) alle celebrazioni della Battaglia di Canolo.

“Tutte le pagine della Resistenza e tutti coloro che l’hanno resa possibile rientrano nella storia del nostro Paese e della nostra terra- afferma il presidente Bonaccini-. Vi rientrano a pieno titolo capitoli importanti come questo, con protagoniste persone che combatterono per dire basta alla dittatura e alla guerra voluta dal regime fascista. Lo fecero combattendo casa per casa, nelle piazze o in campo aperto. Non ci stancheremo mai di raccontare questi eventi, non possiamo accettare che il tempo e certe rivisitazioni storiche cancellino i gesti, le voci, i volti. Oggi è anche il Giorno della Memoria, che richiama alle coscienze degli uomini liberi il ricordo, e la tragedia, di quella che credo sia stata la pagina più buia della storia dell’umanità: l’Olocausto. Dobbiamo ricordare, sempre, diventare infaticabili testimoni del valore e dell’impegno a trasmettere un patrimonio che ci è stato consegnato da una generazione che seppe dire di no al fascismo e al nazismo. Quel patrimonio si chiama libertà, si chiama democrazia, si chiama Costituzione. Oggi siamo qui, ma in questa Giornata dedicata alla memoria della Shoah, siamo ovunque sia stato sparso il sangue di innocenti caduti per la libertà e i diritti, per una testimonianza che deve essere patrimonio di tutta la collettività e che- sottolinea il presidente della Regione- non può essere terreno di alcun distinguo”.

 

Canolo, la storia 

Nella notte del 25 gennaio 1945, verso l’alba i comandanti gappisti e sappisti Guerrino Cavazzoni “Ciro”, Renato Bolondi “Maggi”, Mario Saccani “Nero”, Raul Incerti “Bobi”, Vasco Guaitolini “Biavati”, Abbo Panisi “Nelson”, Egidio Baraldi “Walter” vennero svegliati da forti colpi battuti sulla porta, accorgendosi ben presto di essere accerchiati da truppe tedesche e fasciste.

All’intimazione della resa non risposero, poiché arrendersi significava la fucilazione certa, per cui, dopo una rapida consultazione, decisero di opporre una risoluta resistenza, effettuando poi una sortita nella speranza di salvarsi. Così, ad una seconda intimazione di resa, risposero lanciando bombe e sparando diverse raffiche. Si scatenò un durissimo combattimento che si protrasse per un’ora, ma la piccola casetta di Canolo, trapassata dai colpi delle mitragliatrici, divenne un luogo troppo pericoloso, con l’aria resa irrespirabile dagli spezzoni fumogeni lanciati all’interno.

In un primo momento i comandanti partigiani tentarono di uscire da una finestra che dava sui campi retrostanti, ma la strada venne sbarrata da un’altra mitragliatrice che riversò su di loro un inferno di piombo. A quel punto restava solo il portone principale, anch’esso sorvegliatissimo. In modo fulmineo i partigiani iniziarono a correre verso l’esterno, sparando e lanciando bombe, provocando tra i nemici attimi di smarrimento, che permisero loro di saltare alcune siepi laterali per dileguarsi tra le case vicine e nei campi. Riuscirono a salvarsi quasi tutti, mentre due di essi, nel tentativo di coprire la ritirata dei compagni, non ebbero la stessa benevole sorte. Vasco Guaitolini morì mentre correva verso una mitragliatrice per ridurla al silenzio e con lui Abbo Panisi mentre stava scavalcando una siepe.

Alla fine, la casa venne completamente razziata e data alle fiamme. I nazifascisti ebbero tre morti e quattro feriti, uno dei quali morì poco dopo all’ospedale di Novellara (fonte Anpi).