E’ stato messo a punto in Italia il primo test per la diagnosi precoce dell’epatite C. Prima ancora
che si presentino i sintomi della malattia, con un semplice prelievo di sangue riesce a segnalare in modo preciso e attendibile i danni causati dal virus al tessuto del fegato.

Il risultato è stato ottenuto dall’Unità di Malattie infettive dell’ospedale romano Sant’Andrea ed è stato annunciato in un convegno organizzato dallo stesso centro.

L’epatite C è un’infezione silenziosa, che per anni può essere presente nell’organismo senza dare sintomi e che viene
allo scoperto quando ormai è in fase avanzata, provocando nei casi più gravi cirrosi, insufficienza epatica e carcinoma del fegato. Si stima che il 2%-3% degli italiani conviva con il virus della malattia (HCV).

Si chiamano defensine le sostanze che permettono di riconoscere non soltanto la presenza del virus HCV, ma di sapere quali danni ha subito il tessuto del fegato. Le defensine fanno
parte delle difese di prima linea dell’organismo e, insieme ai globuli bianchi, hanno il compito di sferrare i primi attacchi contro le infezioni.

”Abbiamo studiato come si comportano durante l’infezione da HCV e abbiamo scoperto che aumentano progressivamente con l’evolversi dell’ epatite C”, ha detto il responsabile dello studio, il direttore dell’unità di Malattie
infettive del Sant’Andrea, Antonio Aceti. ”Sia nel caso di epatiti croniche lievi sia gravi – ha aggiunto -il livello delle defensine può essere considerato uno specchio fedelissimo dello stato di salute del fegato”.

A queste conclusioni hanno portato la sperimentazione condotta dall’unità di Malattie infettive in collaborazione con l’unità di Diagnostica molecolare dello stesso ospedale. I test sono stati eseguiti su 50 pazienti con forme diverse della malattia: alcuni con la semplice infezione e senza alcun sintomo, altri con l’epatite C in forma lieve, altri ancora con problemi molto gravi, come cirrosi e carcinoma del fegato.

Si è visto così che il livello delle defensine e soprattutto il grado della loro attività biologica è correlato alla gravità delle lesioni presenti nel fegato, riscontrate dall’analisi dei
campioni di tessuto prelevati con la biopsia. Sono state quindi messe a punto due scale diagnostiche: una che indica da 0 a 10 il livello dell’infiammazione; l’altra che da 1 a 4 indica il grado di fibrosi.

Il prossimo passo, ha concluso Aceti, sarà standardizzare il
test, in modo che già dall’inizio del 2004 possa essere disponibile su larga scala. Il secondo obiettivo è ancora più ambizioso e punta a utilizzare le defensine anche a scopo terapeutico.