“C’è un tempo per ridere ed un tempo per piangere, un tempo per abbracciarsi ed uno per astenersi dagli abbracci…” E la filastrocca potrebbe continuare all’infinito. La notizia che in alcune scuole superiori sassolesi il carnevale venga festeggiato il giorno del mercoledì delle ceneri o il giovedì ad esso successivo, mi ha fatto dapprima sorridere, successivamente mi ha riempito di amarezza…


E mi è tornata in mente la filastrocca “C’è un tempo per …” alla quale aggiungo volentieri una strofa: “C’è un tempo per lanciare coriandoli ed un tempo per coprirsi di cenere!”.



Al di là del discorso religioso (che comunque non è da sottovalutare) ritengo si tratti di un errore storico e pedagogico festeggiare il carnevale in un periodo che ad esso non compete.



Le primi notizie che abbiamo sul carnevale risalgono all’antico Egitto: esso consisteva in un vero e proprio rito religioso; il popolo mascherato intonando inni e lodi accompagnava una sfilata di buoi che venivan sacrificati in onore del Dio Nilo.



Documenti storici poi ci attestano che i Romani si lasciavano prendere dall’euforia durante i Baccanali (festeggiamenti in onore del dio Bacco) che si svolgevano lungo le strade della città e prevedevano l’uso di maschere, tra fiumi di vino e danze.



Con il cristianesimo questi riti persero il carattere magico e rituale e rimasero semplicemente come forme divertimento popolare.



Durante il Tardo Medioevo il travestimento si diffuse nei carnevali delle città. In quelle sedi il mascherarsi permetteva lo scambio di ruoli, il burlarsi di figure gerarchiche, le caricature di vizi o malcostumi con quelle stesse maschere che sono poi diventate simbolo di città e di debolezze umane.



Lo stesso termine Carnevale inoltre significa “levare la carne” perché subito dopo iniziava la quaresima, periodo di digiuni ed astinenza.



Festeggiare il carnevale in quaresima – periodo in cui la carne è già levata – non è forse una contraddizione di termini?



Chi scrive non è un oscurantista, tanto meno un giansenista od integralista: crede nel carnevale, anzi si adopera ogni anno per farlo vivere in maniera sempre diversa ai bambini della parrocchia in cui opera, ma è fermamente convinto che esista un tempo per ogni cosa.



A livello pedagogico inoltre come potremo insegnare ai nostri ragazzi e giovani che esistono tempi diversi, sia nell’arco della vita che di un anno, da riempirsi con contenuti e valori diversi? Se ogni giorno è adatto per far carnevale … ogni giorno è adatto per non impegnarsi, per non andare a lavorare e forse … per far quel che ci pare.



Come scriveva Eraclito, famoso filosofo greco pagano, “La malattia fa dolce e buona la salute, la fame lo fa con la sazietà, la fatica con il riposo” .



Come potremmo avere la primavera se non avessimo l’inverno? Come potremmo parlare di ferie se non conoscessimo il lavoro? E come potremmo parlare di carnevale se non vivessimo il tempo quotidiano?



E’ difficile forse ammetterlo, ma penso sia vero che carnevale e quaresima debbano esser tra loro distinti altrimenti li perderemmo tutti e due e sia la perdita dell’uno che dell’altra sarebbe un grave danno.



Il proporre feste di carnevale fuori dal tempo stabilito (e quest’anno non abbiamo neanche la scusa del maltempo!) è quindi un appiattire il tempo, o peggio ancora far credere ai bambini e ai giovani che si possa ridere e ballare quando si vuole, stordirsi di musica sempre e ovunque dimenticando che la vita è anche impegno e dovere.



Sorge un primo dubbio: crediamo ancora nell’educare ai valori? (e per me il carnevale rientra tra questi).



Inoltre … in una società ed in una cittadina multietnica e multi religiosa come la nostra in cui tutti ci diamo da fare per rispettare l’altro, per non essere lesivi della libertà e fede religiosa di chi non è come noi … perché non un po’ di rispetto anche per la tanto vecchia e logora religione e cultura cristiana?



Fr. Antonello Ferretti.