Una folta cornice di pubblico ha partecipato ieri a “Si può vendere in Cina?”, incontro promosso da Confindustria Ceramica in collaborazione con Osservatorio Asia.

L’incontro, che ha visto le relazioni di Alfonso Panzani, Presidente di Confindustria Ceramica, di Giorgio Prodi dell’Università degli Studi di Ferrara, di Romeo Orlandi, Direttore di Osservatorio Asia, Francesco Merloni della Merloni TermoSanitari e di Alberto Forchielli, Presidente di Osservatorio Asia, è stato moderato dal Direttore Generale di Confindustria Ceramica Franco Vantaggi.

Ha introdotto i lavori il presidente Alfonso Panzani, che ha sottolineato l’importanza, per il settore della ceramica italiana, di questo secondo studio presentato insieme a Osservatorio Asia a distanza di circa un anno. “La Cina in pochi anni è diventato il maggiore produttore mondiale di piastrelle di ceramica con oltre 3 miliardi di metri quadrati – afferma Panzani – nel quale decine di milioni di persone hanno stili di vita e di consumo paragonabili a quelli delle più evolute economie mondiali. Questo studio dimostra l’attenzione che il settore rivolge al colosso cinese e a tutta l’area dell’estremo oriente”.

Nel suo intervento, Giorgio Prodi ha illustrato i tratti salienti dello studio, sottolineando che “le vendite di piastrelle italiane in Cina hanno registrato un aumento del +22%, anche se in valore assoluto restano pressoché irrilevanti e superano di poco il milione di metri quadri”. “La produzione nazionale cinese – ha proseguito Prodi – è stata sostenuta da una domanda interna in continua crescita trainata da un settore immobiliare estremamente dinamico anche se frammentato e con differenze enormi tra città e campagne. Non esiste in Cina una rete distributiva del lusso, mentre invece vi è una distribuzione consolidata per il settore della ceramica: dopo la riforma del 2004 – conclude Prodi – è possibile per gli stranieri investire direttamente nella distribuzione superando i vecchi limiti che imponevano una joint-venture con una azienda locale e anche la logistica sta decisamente migliorando”.

Una visione più di lungo termine è quella di Romeo Orlandi. “Dopo alcuni secoli l’Asia è di nuovo al centro della storia – afferma Orlandi – e ciò è testimoniato dal fatto che tre delle prime quattro economie mondiali sono asiatiche. Tra queste è rilevante il trend espansivo dell’India che assieme alla Cina rappresenta la metà della popolazione del pianeta”. “Mentre in Cina è più facile produrre per motivi logistici – ha sottolineato Orlandi – e non a caso i principali porti mondiali sono cinesi, in India i vantaggi derivano dalla maggiore diffusione della lingua inglese e dalla maggiore abitudine alle regole del commercio internazionale”.

Un’esperienza di lungo corso è quella di Francesco Merloni. “Siamo presenti con il marchio Ariston in Cina da oltre vent’anni” – testimonia Merloni nel suo intervento – ed ora abbiamo stabilimenti produttivi anche in altri paesi del far east come il Vietnam, dove il costo del lavoro è di circa 40 centesimi l’ora. La conquista del mercato cinese non si improvvisa: per aggredire il mercato asiatico è necessario definire un brand facilmente identificabile – suggerisce Merloni – e concentrare gli investimenti in aree precise con programmi di medio e lungo periodo. E’ fondamentale, infine, mantenersi in contatto con le autorità locali. Le chiavi del successo sono costanza e alta qualità del prodotto“.

Nel suo intervento conclusivo, Alberto Forchielli ha evidenziato come gli investimenti cinesi nel mondo siano attualmente intorno ai 35 miliardi di dollari e sono attesi triplicare nei prossimi anni. Le autorità locali sono ora molto più selettive negli investimenti stranieri sul territorio e si iniziano a promuovere propri marchi. L’età media degli imprenditori cinesi – afferma Forchielli – è di 37 anni e il 40% di essi è laureato e proviene da esperienze nelle joint venture con aziende straniere”. “L’eventuale investimento in Cina – conclude Forchielli – deve innanzitutto orientarsi verso i mercati del far east e della costa americana del Pacifico e solo successivamente concentrarsi sul mercato interno”.