Anni di campagne informative sulla Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (HIV) non hanno scongiurato il contagio e i giovani continuano a sottovalutare il problema. Appena il 9,3% dei giovani reggiani ha una reale ed adeguata conoscenza del problema.


E’ quanto emerge da un’indagine campione (108 intervistati) condotta tra i giovani frequentanti alcune discoteche del capoluogo emiliano (Maffia, Italghisa, Tunnel, Los Angeles, Adrenaline) da una loro coetanea, quindi in sedi ed orari inusuali per l’attività di ricerca. A vestire i panni dell’intervistatore confondendosi tra questo “popolo della notte”, una ragazza reggiana, Monica Prandini, che ha appena conseguito la laurea in Infermieristica presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, svolgendo una tesi su “Prevenzione dell’HIV: indagine tra gli adolescenti delle discoteche reggiane” di cui è stato relatore il prof. Marco Vinceti, docente di Epidemiologia all’Ateneo emiliano e Presidente del corso di laurea specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche.

“L’obiettivo della ricerca – spiega il prof. Marco Vinceti – era di scoprire il livello di informazione dei giovani sull’argomento HIV/Aids, analizzare i fattori di rischio, con particolare riferimento ai comportamenti sessuali dei giovani che frequentano le discoteche e individuare nuovi metodi per fare informazione e prevenzione tra gli adolescenti”.

A questo scopo, con la collaborazione del Progetto UP (Unità di Prevenzione) collegato all’Associazione Onlus Papa Giovanni XXIII, che opera per il comune di Reggio Emilia, e con la consulenza pedagogica della Preside della facoltà di Scienze della Formazione prof. ssa Roberta Cardarello, è stato selezionato un campione di 70 maschi e 38 femmine di età compresa tra i 15 ed i 26 anni.
E i risultati sono a dir poco sorprendenti, dimostrando quanto distante sia la l’autopercezione del livello individuale di informazione dalla realtà dei fatti. A fronte di quasi un ottanta per cento (79,8%), che sostiene di avere un grado buono od elevato di conoscenza della malattia, appena il 9,3%, ovvero meno di uno su dieci è veramente e pienamente consapevole del rischio di contagio.
Da questa incosciente sicurezza discendono, quindi, una serie di comportamenti estremi che aumentano l’esposizione di questi giovani al rischio contagio.
Così accade che ben il 40% degli intervistati (42% tra i maschi e 35% tra le femmine) crede che il preservativo basti a proteggersi in maniera totale dal virus HIV, anche durante rapporti sessuali con partner sieropositivi, e il 52% non avverte il pericolo di infettarsi di Aids, ovvero non crede di essere a rischio, pur non proteggendosi in maniera adeguata.
Neanche 1 su 5 di queste ragazze e ragazzi prima di un rapporto sessuale si preoccupa di assumere informazioni sullo stato di sieropositività del partner e solamente 22 su 108 degli intervistati si è sottoposto al test.
Ma quello che appare ben più grave è che per abbattere le proprie inibizioni, come noncuranti dei pericoli di contagio, il 59% dei giovani intervistati dice di bere sempre alcolici e il 78% fa uso di sostanze stupefacenti, abbandonandosi così alla sempre più diffusa pratica dei rapporti occasionali (ovvero con persone conosciute da meno di una settimana), fenomeno che negli ultimi due anni ha riguardato il 54,4% del campione, mentre coloro che negli ultimi 12 mesi hanno avuto più di 2 partner sono oltre di 4 su 5, la metà dei quali dichiara di averne avuti addirittura 5 o più.
Quanto all’uso del preservativo durante i rapporti occasionali coloro che si tutelano sempre sono il 41,9%, a fronte di un 16,2% che non lo impiega mai e un altro 41,9% che lo mette a volte.
“Quello che emerge da questa ricerca – ci dice Monica Prandini – è che i comportamenti sessuali rischiosi sono molto diffusi anche per un abbondanza di luoghi comuni e informazioni distorte che si hanno in materia, accompagnati da un senso di invulnerabilità e da atteggiamenti di fatalismo o sfida verso il pericolo, anche per quanto concerne l’uso di alcol e droghe”.

E’ forse di conforto la constatazione che la maggior parte degli adolescenti, nell’ultima parte del questionario (oltre 40 domande), risponde di essere abbastanza interessato a ricevere maggiori informazioni, anche se tantissimi non sanno dove potrebbero fare un test HIV o a chi potrebbero rivolgersi, nei confronti del quale non si sentirebbero a disagio o in imbarazzo.

“Questa ricerca – commenta il Pro Rettore della sede di Reggio Emilia dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia prof. Anto de Pol – suggerisce che per quanto riguarda la prevenzione dell’HIV/Aids l’infermiere può essere un indispensabile strumento, soprattutto se posto a diretto contatto con i giovani, nei luoghi dove essi vivono, con modalità e metodologie innovative, come promotore della salute, anche al di fuori del contesto ospedaliero e ambulatoriale per abbattere le barriere che spesso si creano tra personale sanitario e popolazione”.