Quando arriva nelle sale, Pulp Fiction è il secondo film di un regista trentenne che si è già fatto notare dai produttori di Hollywood, ma che pochi conoscono. Eppure il suo successo è travolgente: vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1994 e l’Oscar 1995 per la miglior sceneggiatura originale. Per la carriera di Tarantino, e anche per il cinema indipendente, il film segna un punto di non ritorno. Nei quasi quindici anni che ci separano dalla sua realizzazione, Pulp Fiction è stato oggetto di innumerevoli analisi e discussioni, ma il segreto del suo “richiamo” resta in buona misura indecifrato.

Ci prova ora il critico e saggista Alberto Morsiani, direttore dell’Associazione Circuito Cinema di Modena, con un libro di 220 pagine ( euro 18,50) nella prestigiosa collana “Universale Film” della casa editrice di Torino “Lindau”, che è da pochi giorni nelle librerie e che prende in esame in modo approfondito e ricco di spunti uno dei film ormai più famosi della storia del cinema.

Il film procura, per Morsiani, un divertimento doppio: il primo immediato, in cui il godimento è a livello viscerale, non intellettuale, per il piacere offerto dall’effimero della cultura pop e dall’intreccio di storie e personaggi della tradizione “noir” e “hard boiled”; il secondo più sofisticato, accessibile a chi apprezza una bistecca “alla Douglas Sirk” o capisce la differenza tra un quarter pounder e un Big Kahuna Burger.

Il film esercita il suo appeal sia sul pubblico colto, sia su quello popolare, mescola alto e basso, concilia arte e consumo. E’ cool nella misura in cui i giochi dell’universo contemporaneo cool sono l’estasi, la fascinazione, la comunicazione, il caso, la vertigine. Per Quentin Tarantino, il wonder boy del cinema, è appassionante, cool, solo ciò che smentisce il bell’ordine dell’irreversibilità del tempo e della finalità delle cose. Con il suo tempo circolare e reversibile, con i suoi personaggi che muoiono e resuscitano, Pulp Fiction è lì a dimostrarlo. E’ un vertiginoso groviglio narrativo che articola un’intera antologia di stili e in cui coesistono diversi feticci: la grammatica della violenza; la stilizzazione delle patologie; la narrazione come gioco sadico e insieme farsesco; il senso di un presente ermetico. In esso convivono iperrealismo e fiaba, rétro e postmoderno, riciclaggi e invenzioni, confronti e scontri, orologi d’oro e frappè, chopper cromate e spade katana, sermoni e sodomie, gare di twist e spari in faccia. Pulp Fiction è una gioiosa macchina del tempo, un’esperienza estetica globale, l’icona di un’epoca.