Comprendere i meccanismi fisiopatologici della malattia emolitica neonatale, questo lo scopo del corso ‘La malattia emolitica neonatale’ che si tiene domani a Modena nell’aula P01 del Centro Didattico Interdipartimentale della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (via del Pozzo 71).

Il corso – organizzato dalla Struttura Complessa di Medicina Trasfusionale del Policlinico di Modena diretta dalla dottoressa Marisa De Palma – è rivolto a tutte le figure professionali coinvolte nella gestione delle donne in gravidanza sia dal punto di vista laboratoristico che ostetrico per assicurare un corretto monitoraggio della gravidanza stessa oltre che a neonatologi e pediatri per uno specifico e mirato intervento sui neonati e nel follow up post natale.

“La malattia emolitica del neonato (MEN) – spiega la dottoressa Donatella Venturelli, docente del corso e medico della Struttura Complessa di Medicina Trasfusionale del Policlinico di Modena – è la manifestazione clinica di immunizzazione materna verso antigeni dei globuli rossi del feto. Nel caso in cui si abbia un passaggio di globuli rossi fetali nel circolo materno si può innescare un processo di immunizzazione da parte dell’organismo materno, cioè la formazione di anticorpi contro i globuli rossi del feto che, attraversando la placenta, possono legarsi ad essi riducendone la sopravvivenza (emolisi), con conseguente anemia ed aumento non controllato della bilirubina, responsabile di danni neurologici gravissimi nel neonato. Questa patologia può assumere anche forme più gravi che provocano la mortalità del feto in utero. Essa è la causa più frequente di anemia fetale (6,7 ogni 1000 nati vivi) secondo le statistiche pubblicate”.

La MEN è causata sia da antigeni del sistema Rh – cioè proteine presenti sulla superficie dei globuli rossi, denominate con lettere alfabetiche (D,C,E,e,c), in particolare l’antigene D (che è il più pericoloso) – sia da altri sistemi gruppo ematici (Kell,Duffy,Kidd,MNSs). L’introduzione della profilassi anti-D, a partire dal 1968, per donne Rh negative che partoriscono figli Rh positivi ha drasticamente ridotto l’incidenza di forme gravi di MEN da sensibilizzazione anti-D, che in epoca precedente era un vero flagello sociale rappresentando nel mondo occidentale una delle cause più frequenti di mortalità perinatale e di sequele neurologiche invalidanti. In Italia colpiva circa 7000 neonati con oltre 1500 morti ogni anno. In parallelo la diagnosi precoce è migliorata grazie all’affiancamento delle indagini immunoematologiche di laboratorio con indagini strumentali sempre più indicative del reale stato di sofferenza fetale. Grazie a questo duplice canale di monitoraggio anche la sensibilizzazione da incompatibilità materno-fetale diverse da quella legata all’antigene D, possono essere rilevate in tempo utile per instaurare interventi terapeutici salvavita per il nascituro, quali le trasfusioni in utero o la sostituzione completa del sangue dopo la nascita (exsanguinotrasfusione)
Fondamentale, nella diagnosi di questa patologia sono l’approccio multidisciplinare di varie professionalità (immunoematologi, ostetrici, neonatologi) e una efficace e tempestiva comunicazione tra professionisti al fine di predisporre una profilassi il più possibile aderente alle linee guida e di interventi immediati e specifici qualora si prefiguri una sofferenza fetale o una sindrome conclamata nel neonato. Proprio di questo si parlerà durante il corso organizzato al Policlinico di Modena.

Nella provincia di Modena si è rilevato un progressivo aumento dell’incidenza globale di MEN negli ultimi 5 anni, dallo 0.6 /1000 nati vivi del 2003 al 6/ 1000 del 2007 (1 caso ogni 164 nascite presso il Policlinico), soprattutto in relazione alla crescente immigrazione di persone appartenenti a gruppi razziali differenti e alla comparsa di MEN dovuta ad antigeni molto rari nella razza caucasica. Per quanto riguarda i casi di MEN da anti-D il numero dei casi non è aumentato complessivamente, ma lo è invece la gravità clinica che necessita sempre più di trasfusioni intrauterine ed exsanguinotrasfusioni, connotandosi anch’essa come patologia che interessa donne di etnie diverse che non hanno avuto modo di eseguire profilassi nel loro paese di origine.