Perché un documento di Legacoop Reggio Emilia, oggi, in vista delle Elezioni amministrative del 2009? Lo hanno spiegato in mattinata il presidente e il direttore generale Ildo Cigarini e Mauro Degola, presentando il documento agli organi di informazione.

“Legacoop – ha detto il presidente Cigarini – non ha la presunzione di presentare un programma elettorale. La situazione però è eccezionale, e quindi occorre anticipare il confronto per dare risposte nuove al territorio. Il nostro è un documento che ha la sola ambizione di aprire il confronto con le forze politiche, sociali, economiche”.
Cinque anni fa il rinnovo delle amministrazioni locali avveniva in una fase di sviluppo, anche se già erano evidenti alcune storture: nuova immigrazione dequalificata, conseguente degrado sociale in alcuni contesti, percezione di insicurezza, invecchiamento della popolazione reggiana; abbandono del centro storico; edilizia invasiva e frammentata. Tuttavia molti indicatori economici e sociali ponevano Reggio Emilia ai primi posti tra le province italiane. L’Università e i progetti di Calatrava ben rappresentavano la voglia di fare e lo sforzo per definire una nuova identità reggiana a dimensione europea. Di conseguenza il dibattito politico di allora si incentrò sul governo dei problemi in una logica di continuità culturale e amministrativa da parte dei soggetti politici. Legacoop da parte sua proponeva alla società e alla politica reggiana di alzare il tiro, in coerenza con gli investimenti che la città stava compiendo, e chiedeva l’impegno ad “Amministrare Reggio per competere in Europa”, di passare in sostanza dallo sviluppo quantitativo allo sviluppo qualitativo.
Oggi la congiuntura è completamente cambiata: la crisi del sistema finanziario mondiale si è sovrapposta ad un già evidente rallentamento negli scambi economici tra i paesi. Per la prima volta “tutta” l’economia mondiale entra in deflazione e in recessione. A questo si aggiunge la debolezza strutturale del sistema Italia. Anche Reggio Emilia sarà sempre più toccata da queste debolezze. Anzi, in questo contesto l’economia reggiana corre seriamente il rischio di arretrare nella propria produzione di ricchezza. Già preoccupanti segnali si sono progressivamente avuti in questi 5 anni: la caduta della domanda delle famiglie e la crisi del commercio, la crisi del Parmigiano-Reggiano, lo sgonfiamento del settore delle costruzioni. E infatti oggi perdiamo posizioni secondo gli indicatori economici e sociali.
L’economia locale non sarà più la stessa. All’indebolimento in atto si aggiungeranno in futuro gli effetti della stagnazione mondiale sulle esportazioni: l’utilizzo della cassa integrazione, la chiusura di centinaia di imprese, il crollo dell’occupazione e quindi l’ulteriore calo dei consumi. La restrizione del credito è destinata ad essere una situazione in parte strutturale e in parte temporanea, ma nel caso reggiano avrà effetti più pericolosi a causa di alcune caratteristiche della nostra economia, per la presenza massiccia di artigiani e piccole imprese, per la loro bassa capitalizzazione, per la predominanza degli impieghi bancari rispetto alla raccolta e la perdita di quasi tutti i presidi finanziari sul territorio. Da qui la necessità di insistere sulle misure per il finanziamento straordinario dei consorzi fidi e per aiutare l’affidamento bancario alle piccole imprese. Le risposte strutturali sarebbero invece quelle del riposizionamento di interi settori locali su segmenti di mercato più innovativi.
Si potranno cogliere nuove opportunità se sapremo fare sistema. La crisi produce cambiamenti e selezione. In assenza di interventi razionali il rischio è che la crisi non selezioni le imprese premiando quelle di prospettiva, ma semplicemente le impoverisca tutte. Gli effetti colpiranno particolarmente le fasce sociali più deboli della popolazione. Legacoop ritiene però che ci siano tutte le condizioni perchè il sistema economico e sociale reggiano sappia ristrutturarsi e riconvertirsi. Trasformare la crisi in opportunità per il nostro territorio è cosa complessa ma non impossibile. La prima opportunità è quella di ridurre alcune debolezze del nostro modello industriale e dei servizi, come l’estrema parcellizzazione, gli insufficienti investimenti in innovazione, la scarsa propensione alla creazione di servizi avanzati. Si dovrà puntare alla crescita dimensionale delle imprese attraverso acquisizioni, unificazioni e logiche di gruppo. E specialmente le istituzioni pubbliche dovranno investire sul capitale sociale: infrastrutture, cultura, reti informative, mobilità, sicurezza, legalità e attrattività del territorio.

La seconda opportunità è quella di rispondere al bisogno delle imprese di piccola e media dimensione di essere inserite in un “sistema”, in un coordinamento delle istituzioni e dei soggetti economici e sociali che nasca da un “progetto” condiviso. Strumenti come Il Tai o il tavolo di devono essere rifondati. Un “new deal” reggiano per rispondere stabilmente al sostegno dei redditi può essere perseguito solo attraverso lo sforzo delle imprese, l’azione pubblica e la co-progettazione pubblica/privata.

Per Legacoop è fondamentale il ruolo che vorrà e saprà giocare la Pubblica amministrazione: sarà necessario amministrare gli Enti locali per contribuire allo sviluppo. La situazione della finanza pubblica è grave, e Legacoop ritiene che oggi la comunità reggiana non possa continuare a discutere di come utilizzare le risorse senza essersi posta prima il problema di come crearle. Non è sufficiente continuare a delegare questo compito alle imprese e riservarsi, come amministrazioni pubbliche, il ruolo di gestire la spesa. Occorre cioè che anche la spesa dei Comuni e della Provincia sia moltiplicatrice di sviluppo. In particolare gli enti locali devono modificare le proprie politiche, agendo da partners e da sollecitatori attraverso la propria azione normativa e programmatoria. Chiunque amministri, oggi la nostra comunità non può più porsi in una logica di semplice continuità culturale e amministrativa col passato, ma deve trovare obiettivi e prassi della azione amministrativa secondo nuove direttrici culturali.
E’ necessario investire nel capitale umano. Il problema di fondo non è più solo come fare sistema: prima occorre essere in grado di produrre idee, per potere sperimentare e innovare le politiche sul territorio.

Per quanto riguarda la trasformazione del territorio, questa va vista non come un insieme di vincoli, ma come risorsa. Migliorare la qualità del territorio non si può fare se si cristallizza il territorio. Si può invece: attivare rapidamente i poli di sviluppo reali, riportare il ceto medio ad abitare il centro storico della città, realizzare le infrastrutture necessarie, affrontare il problema della viabilità, attraverso il completamento dell’anello di tangenziale, non per fare un favore agli automobilisti ma per investire sul risparmio di tempo e di risorse dell’intera comunità. Con quali risorse? Non esistono risposte semplici, ma sicuramente è da rifiutare l’idea che tutto si riduca alla sola spesa pubblica diretta. Il federalismo fiscale certamente responsabilizzerebbe gli amministratori e le comunità, ma le scelte di politica amministrativa locale possono già oggi mobilitare e indirizzare anche le risorse private.
E’ necessario un welfare non ideologico. Per ciò che riguarda l’assistenza la Regione Emilia-Romagna continua a puntare sull’investimento immobiliare degli enti locali, su parametri qualitativi sempre più elevati, sull’uso prioritario del lavoro dipendente pubblico (e sull’abbassamento dei suoi costi attraverso l’uso improprio di cooperative sociali e volontariato). Il costo crescente di tale modello non è più sopportabile per gli enti pubblici. Occorre che il mercato si incarichi di segmentare le risposte e di produrre efficienza. I soggetti privato-sociali devono essere messi in condizione di esprimere la loro imprenditorialità in un quadro di regole certe e di qualità minima certificata. Infine l’economicità e l’efficienza di un sistema di welfare non possono essere gestite attraverso appalti al massimo ribasso, e non possono essere ulteriormente compromessi con tempi di pagamento insostenibili per le imprese. Non è difficile prevedere che anche Reggio Emilia passerà dalla crisi economica ad emergenze sociali. La cooperazione è in grado di contribuire a gestire questi problemi, e chiede di essere coinvolta, non con finalità di mera rappresentanza di interessi particolari, ma come attore che, a partire dalla propria capacità di lettura dei bisogni sociali e delle loro trasformazioni. intende concorrere alla definizione di un modello di sviluppo del welfare di comunità, aperto al contributo di tutti.
I problemi della sicurezza e dell’integrazione. Il livello dell’integrazione sociale a Reggio Emilia è ancora elevato rispetto alla media nazionale. Nonostante ciò una immigrazione scarsamente qualificata che in 10 anni ha portato l’incidenza degli stranieri al 10%, i problemi di microcriminalità, di diffusione dell’illegalità e anche di infiltrazioni malavitose, stanno rapidamente modificando il clima della convivenza sociale. Occorre integrare le famiglie di lavoratori extracomunitari con occupazioni stabili, tranquillizzare i reggiani sulla capacità di reazione del tessuto economico e sociale, denunciare e impedire comportamenti di concorrenza sleale anche attraverso codici etici volontari. Occorre poi garantire la regolarità fiscale e contributiva dei fornitori degli enti pubblici, consapevoli che al di sotto di certi prezzi vengono disattese le regole di una efficiente competitività. Non si tratta di denunciare in modo confuso generiche derive mafiose, né di mandare a passeggio folcloristiche ronde, ma di lavorare con intelligenza e con il coordinamento di tutti i soggetti pubblici e privati.
Il ruolo della cooperazione. Le cooperative sono una risorsa per la tenuta economica e sociale del nostro territorio, e un investimento per riavviare i meccanismi dello sviluppo e della qualità sociale. L’apporto delle cooperative reggiane in questi anni è stato importante sotto il profilo occupazionale, della difesa della dignità umana, della partecipazione economica. Questa crisi fa emergere con forza la necessità di una economia più concorrenziale, dove la vera concorrenza è tutelata dalla garanzia di trasparenza e dal rispetto delle regole di competizione. E oggi tre aspetti della responsabilità sociale, scritta nel dna delle cooperative, sono utili: il legame col territorio, la continuità aziendale nel tempo, e la responsabilità individuale. Nell’immediato futuro le cooperative possono continuare a ragionare come imprese intergenerazionali e con una naturale attenzione agli effetti sociali del proprio agire. Le cooperative sono partner ideali per i progetti strutturali e a lungo termine, in quanto imprese che ci sono oggi e ci saranno domani, e perché la ricchezza che producono la utilizzano in buona parte qui, a Reggio Emilia. In questo senso le cooperative sono a disposizione, oltre che dei propri soci, della comunità reggiana, a cui chiedono non favori ma semplicemente attenzione.