Alla base delle motivazioni ideologiche che caratterizzano i promotori del referendum riguardante la gestione della distribuzione dell’acqua ad uso civico, vi è una profonda avversione per la proprietà privata ed una forte propensione allo statalismo.

Lo dimostra il fatto che non appena la legislazione in vigore ha lasciato intravedere la possibilità per i privati di concorrere alla gestione delle risorse idriche, si badi bene alla gestione della distribuzione e non alla proprietà dell’acqua, che continuerebbe a rimanere pubblica, si sono mobilitati con la massima rabbia possibile ed hanno promosso un referendum abrogativo per cercare di impedire questa eventualità.

Se al prossimo referendum prevalessero i sì, come vorrebbero i promotori, verrebbe bloccato ogni possibilità di gara per la gestione delle reti idriche rendendo il monopolio delle aziende pubbliche obbligatorio.

Il monopolio pubblico obbligatorio dell’acqua non costituisce certo una garanzia per i cittadini utenti, visto le carenze, l’inefficienza e gli sprechi che la gestione pubblica, specie nel sud dell’Italia, hanno finora prodotto.

In realtà, solo la competizione fra offerte diverse può rendere questi obiettivi più realistici: lo dimostra il fatto che il monopolio del pubblico, così come è stato da decenni sperimentato anche a Reggio Emilia, non ha realizzato gli obiettivi sociali prima richiamati. D’altronde, la stessa Iren sta cercando di allargare la sua compagine sociale al capitale privato.

I promotori del referendum sull’acqua ad uso civile si dimostrano dunque geneticamente ostili al capitale privato nel nome di uno statalismo di memoria sovietica. Ipocrisia e demagogia sono espresse dal centrosinistra e dai suoi sodali che nelle municipalizzate puntano all’ingresso del capitale privato mentre nelle piazze inneggiano al monopolio di Stato.

Se al prossimo referendum vincessero i sì, crollerebbero le quotazioni delle azioni delle municipalizzate che i privati hanno acquistato in borsa, in quanto verrebbe vietato per legge la possibilità di fare investimenti remunerativi ed imposti. Una soluzione disastrosa dunque, a fronte delle perdite presenti all’interno della rete idrica pubblica attuale, pari al 40 per cento delle risorse disponibili in natura, e della necessità di nuovi investimenti nel settore, per un importo di 70 miliardi di euro.

Per questo ritengo che la migliore soluzione per condannare alla sconfitta i promotori di questi assurdi referendum sia quella di non andare a votare.

(Fabio Filippi)