L’art. 19 della manovra estiva (Legge 111/2011) ha imposto il dimensionamento degli Istituti comprensivi che dovranno avere un numero minimo di 1.000 studenti, innanzi tutto, scippando per l’ennesima volta competenze che sono degli Enti Locali, tant’è che 15 Regioni su 20 – tra le quali anche l’Emilia-Romagna – hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale.

Il dimensionamento non ha alcun fondamento didattico, è imposto esclusivamente per ragioni economiche, a prescindere da una riflessione approfondita sulle condizioni che possono renderlo un modello di qualità. L’obiettivo del governo è quello di risparmiare 172 milioni di euro a danno dell’istruzione, sopprimendo 1.130 scuole e altrettanti posti di lavoro di dirigente scolastico e direttore dei servizi generali ed amministrativi, oltre a 1.765 posti di collaboratore scolastico.

Dal MIUR si hanno comunicazioni che si contraddicono, con il risultato che le scuole non sanno quale sarà il loro destino, le famiglie non sanno dove andranno a scuola i figli e i Comuni non sanno dove prendere i soldi per allestire i trasporti con lo scuolabus. Il caos è generalizzato, come spesso succede in seguito agli interventi di un governo da tempo allo sbando e che sta portando l’intero paese al fallimento.

Il Pd, i suoi amministratori, credono profondamente nella costruzione degli Istituti comprensivi, ma come percorso coerente, unitario, condiviso, di cui gli insegnanti si prendono cura e di cui diventano responsabili, insieme. Questo non significa parlare solo di continuità educativa, ma anche di effettiva progressione degli apprendimenti negli allievi, dai 3 ai 14 anni, che dovrebbe avvalersi della regia comune degli insegnanti. Rispettando le tradizioni gloriose di scuole dell’infanzia, elementari e medie (ciascuna gelosissima della propria identità), l’Istituto Comprensivo le invita a ripensarsi in un comune progetto pedagogico, dai 3 ai 14 anni (e sarebbe bello arrivare fino a 16 anni, l’età dell’obbligo). Tutto questo richiede però una visione d’insieme ispirata da criteri di qualità e non da “ragioni di cassa”. L’istituzione degli Istituti comprensivi va pertanto fortemente riferita alle specifiche condizioni territoriali, soprattutto quando si tratta di programmare l’offerta formativa e di organizzare la rete scolastica, favorendone l’articolazione nell’intero territorio, con particolare attenzione alle aree deboli e alla montagna.

E’ necessaria quindi una riflessione profonda prima di procedere -magari frettolosamente, per rispettare i tempi dettati dall’alto da un Ministero ormai allo sbando- in attesa della sentenza della Corte sui ricorsi presentati dalle Regioni, ma soprattutto, rispettando le vere esigenze educative e didattiche delle comunità.

(Thomas Casadei, consigliere regionale, Capogruppo Pd in Commissione “Scuola, Lavoro, Formazione professionale, Cultura, Turismo”)