Per alcuni una legge che “non era scontata”, frutto di “partecipazione e condivisione” e che porta “una semplificazione apprezzabile”; per altri una legge che “pensa al Pil ma che si dimentica il valore storico degli edifici” e che “rischia di creare disparità di trattamento tra Comuni limitrofi”: il progetto di legge della Giunta su “Norme per la ricostruzione nei territori interessati dal sisma del 20 e 29 maggio 2012” è stato oggi al centro di un lungo dibattito all’interno della commissione regionale Territorio, ambiente, mobilità, presieduta da Damiano Zoffoli, che ha visto svolgersi il dibattito generale. La prossima settimana è prevista la discussione dell’articolato dopo di che si passerà al voto sul provvedimento.

Ricordando anche alcune delle obiezioni mosse in fase di udienza conoscitiva, in apertura la relatrice del progetto di legge, Paola Marani (Pd), ha ritenuto necessario precisare che “c’è stata una distorta interpretazione della funzione della legge, che non è uno strumento per modificare la pianificazione urbanistica”.

Secondo Manes Bernardini (Lega nord), “c’è voluta una disgrazia come il terremoto per iniziare a ragionare in modo diverso e guardare finalmente alle peculiarità del territorio”, anche se “per esempio a Minerbio, in provincia di Bologna, c’è stato segnalato uno strano modo di agire da parte del Comune: non scendo nei dettagli ma si sappia già che noi saremo contrari alla ‘sindrome da crepa’”. Il consigliere Giovanni Favia (Mov5stelle) ha evidenziato i rischi di “un percorso che sembra troppo a porte chiuse” e ha poi attaccato il comma sugli edifici vincolati: “È un insulto al valore storico dei nostri edifici perché non fa differenza sul tipo di patrimonio vincolato. Siamo i migliori al mondo per il restauro ma calpestiamo la memoria storica”. Silvia Noè (Udc) ha ricordato “il rischio della discrezionalità di adozione, che potrebbe portare a una disparità di trattamento tra Comuni limitrofi” e ha poi ipotizzato “una tempistica tra gli 8 e i 10 mesi tra tutti i passaggi, mentre alle popolazioni colpite serve sicuramente un iter più snello”.

Monica Donini (Fds) ha rivendicato come “in questa regione non si rinuncia mai a partecipazione e norme condivise, e la nostra semplificazione non è mai deregolamentazione o abbandono del singolo”: il problema, semmai, ha spiegato la consigliera, è che “questa ricostruzione è stata scarsamente finanziata dallo Stato, senza contare poi la necessità di una legge nazionale sulla ricostruzione”. Per Sandro Mandini (Idv) “non bisogna cedere all’idea della ricostruzione fotocopia, perché un territorio è frutto delle sue trasformazioni”: il consigliere ha sottilineato il fatto di “apprezzare la semplificazione” ma ha ricordato che “il limite dei cinque anni per la ricostruzione non è sufficiente, e bisogna garantire il diritto a usare la volumetria non autorizzata”.

L’assessore alla Programmazione territoriale, Alfredo Peri, ha chiuso il dibattito con una serie di puntualizzazioni: “La ricostruzione sarà sempre ‘dov’era’, ma sarà ‘com’era’ solo se si rivelerà utile, i due estremi in questo caso sono i ‘falsi storici’ e la conservazione dei segni del terremoto- ha spiegato-, l’importante è che la questione non diventi un referendum aprioristico ma che si analizzi caso per caso, la finalità è la ricostruzione del tessuto urbano e territoriale, non degli edifici”.