profughi_5Sono passati due anni dai primi arrivi riconducibili ai rovesciamenti istituzionali del Nord Africa (Tunisia, Egitto, Libia) e poco meno dall’avvio di quella sequenza di decreti e ordinanze emergenziali chiamati a organizzare la vita e definire giuridicamente l’accoglienza di migliaia di uomini e donne nell’ambito della cosiddetta “Emergenza Nord Africa”. Due anni di attesa estenuante per i profughi richiedenti asilo la cui condizione giuridica e il cui programma di accoglienza non lascia ancora intravedere un evoluzione certa.

Cause e responsabilità di questo “pasticcio burocratico” sono molteplici e riguardano tanto le istituzioni quanto gli “operatori”. Quello che è certo è che nella filiera legislativa e amministrativa che ha dilatato oltre ogni limite la precarietà giuridica dei profughi ospitati nei territori e nelle strutture della provincia di Modena, i tempi e l’inefficienza della Questura rappresentano l’inciampo principale.

Le inefficienze più gravi nelle pratiche per la gestione dell’Emergenza Nord Africa hanno riguardato:

1. l’attesa, in alcuni casi anche di 5 mesi, per verbalizzare, dopo lo sbarco, la testimonianza in base alla quale i profughi potevano avanzare la domanda di asilo politico (iter, è bene ricordarlo, che non hanno scelto ma che gli è stato imposto e che comporta l’impossibilità di lavorare nei primi sei mesi dal rilascio del permesso stesso);

2. i tempi di rilascio dei permessi originali per richiesta asilo, eccedenti la durata del permesso stesso. Tradotto: nella maggior parte dei casi venivano convocati per ritirare permessi già scaduti;

3. i tempi lunghissimi di notifica delle risposte alla domanda di asilo che la Questura riceveva dalle Commissioni territoriali, nonostante le ultime circolari ministeriali obbligassero alla velocizzazione dei tempi.

Come ben sanno i profughi e chi ne ha affiancato per un certo periodo il soggiorno in Italia queste lungaggini burocratiche si traducono quasi sempre in un grumo di attesa e ansia che blocca non solo giuridicamente, ma anche esistenzialmente qualsiasi progettualità necessaria a ricostruirsi una vita dopo lo sradicamento a cui li ha costretti la fuga dal Nord Africa.

Alla luce di tutto questo, il buon senso e un’interpretazione più democratica delle funzioni delle istituzioni statali ci spingono a dire che non è più derogabile il passaggio delle competenze inerenti al rilascio e al rinnovo dei permessi di soggiorno, non solo nel caso dei richiedenti asilo, dalle Questure agli Enti locali.

Crediamo che eventi eccezionali come il flusso di uomini e donne arrivati in Italia con “la primavera araba” dovrebbero rappresentare l’occasione per attivare tutti quei piccoli e grandi cambiamenti necessari alla nostra sfibrata democrazia.

(Comitato Primo Marzo Nonantola)