Una serata ricca di emozioni incandescenti al festival “Cuore di Palestina” in corso a Teatri di Vita, Bologna (infoline: 051.566330, www.teatridivita.it).
Sabato 13 luglio approda il Freedom Theatre, la compagnia teatrale del campo profughi di Jenin, con lo spettacolo in prima europea “Suicide note from Palestine”, ovvero il suicidio della Palestina in un incubo ispirato dalla drammaturgia di Sarah Kane. In seconda serata il documentario choc “5 broken cameras”, che denuncia le sopraffazioni israeliane nel villaggio di Bil’in e la resistenza dei contadini palestinesi: una lotta non violenta, che questo film ha testimoniato arrivando a vincere il maggiore festival israeliano del cinema e a ricevere la nomination agli Oscar. Ma la serata ad alta temperatura emotiva non finisce qui: Milena Magnani legge l’emozionante lettera di Suad Amiry, la più importante scrittrice palestinese, molto nota anche in Italia, che sarà eccezionalmente presente al festival per testimoniare la sua adesione.
Completano il festival, come tutte le sere, la mostra di Ahmad Mesleh, il ristorante con una vera tenda palestinese allestita nel parco dove sostare mangiando o fumando il narghilè, e l’evento collaterale “L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi” di Copi, diretto da Andrea Adriatico, con Anna Amadori, Olga Durano e Eva Robin’s.
PROGRAMMA DELLA GIORNATA
Alle ore 19.30 si apre la tenda-ristorante palestinese, che offrirà diversi menù tipici palestinesi (tra maqlubeh, couscous, falafel, kebab…), ma anche il tipico narghilè, a cura di Jamil Shihadeh del ristorante Al Salam.
Alle ore 20, primo appuntamento con lo spettacolo. Torna tutte le sere del festival, come evento collaterale, “L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi” di Copi, uno spettacolo di Andrea Adriatico, con Anna Amadori, Olga Durano e Eva Robin’s, e con Maurizio Patella, Saverio Peschechera e Alberto Sarti. Una folgorante storia camp dello scrittore e fumettista scomparso nell’87: una sorta di delirante “Tre sorelle” di Cechov inzuppate nel delirio caleidoscopico e transgender tipico dell’autore franco-argentino. Una storia che Adriatico, dopo aver indagato l’universo fantasmagorico e allucinato di Copi in “Le quattro gemelle” e “Il frigo” (quest’ultimo proprio con Eva Robin’s), rilegge in equilibrio tra divertimento grottesco e senso della tragedia.
Alle ore 21, è l’ora delle “Lettere dal fronte interno”: lettere di persone e personalità palestinesi rivolte ai bolognesi. La scrittrice Milena Magnani legge la lettera di Suad Amiry, scrittrice e architetto. Nota al pubblico internazionale con l’opera “Sharon e mia suocera” (2003), tradotto in 11 lingue e con la quale ha vinto il premio Viareggio nel 2004, ha pubblicato anche “Se questa è vita” (2005), “Niente sesso in città” (2007) e “Murad Murad” (2009).
Alle ore 21.30, è il momento del grande teatro internazionale, con un vero evento. Si tratta della prima europea del’ultimo spettacolo del Freedom Theatre, dal titolo “Suicide note from Palestine”, ispirato a “Psicosi delle 4.48” di Sarah Kane, con la regia di Micaela Miranda, Nabil Al-Raee e l’interpretazione di Christine Hodali, Milad Qunebe, Ahmed Alrakh, Alaa Shehada, Saber Abu-Ashreen, Anas Arqawi.
E’ l’anno 2090. Un violento attacco israeliano su Gaza. Una studentessa in un letto d’ospedale: il suo cuore si è già fermato, ma lo staff medico delle Nazioni Unite è riuscito a riportarla in vita. Così inizia l’incubo della studentessa la notte prima dell’esame di storia.
Il Freedom Theatre presenta a Bologna in prima europea lo spettacolo “Suicide Note from Palestine”, che ha debuttato lo scorso aprile. Si tratta di un’opera tra teatro fisico e videoarte che rappresenta un’eplorazione dell’identità palestinese e del senso di doloroso “no-future” vissuto dalle giovani generazioni. Nell’incubo, la ragazza è schiacciata tra la violenza dell’esercito israeliano, la condiscendenza dell’Europa, il paternalismo Usa, l’ipocrisia degli altri stati arabi e dai medici delle Nazioni Unite incaricati di drogare il popolo palestinese: attraverso la deformazione satirica e grottesca, emerge con forza il trauma della nazione palestinese.
Il Freedom Theatre, la formazione teatrale più famosa della Palestina, è stato fondato nel 2006 nel campo profughi di Jenin da Juliano Mer-Khamis, l’israeliano che scelse di condividere con i palestinesi la sua battaglia per la pace e la libertà, e che fu ucciso il giorno dopo il debutto di un suo spettacolo da un integralista islamico due anni fa (e al quale è idealmente dedicato il festival). La compagnia è impegnata in una intensa attività teatrali e artistiche, intese come snodo centrale per la costruzione di una nuova società, basandosi sull’idea della Cultura come Resistenza: teatro, psicodramma, cinema, fotografia, scrittura creativa.
Alle ore 22.30, tocca al cinema, con un eccezionale appuntamento: “5 broken cameras”, docufilm del palestinese Emad Burnat e dell’israeliano Guy Davidi, premiato al Jerusalem Film Festival, al Sundance Film Festival e al Pusan Film Festival, e con la nomination ai Premi Oscar come miglior documentario.
Un palestinese che vive nei territori occupati decide di raccontare la crescita di suo figlio con la telecamera nuova, ma ben presto si troverà a testimoniare i soprusi dell’esercito israeliano (bambini arrestati, dimostranti inermi feriti), in quella che è passata alla storia come la resistenza del villaggio di Bil’in in Cisgiordania contro l’arroganza di decisioni del governo israeliano (su cui poi lo stesso governo dovrà fare marcia indietro) e che causò morti palestinesi.
Emad Burnat compone un documento incredibile, in cui la crescita del bimbo e gli scontri vanno di pari passo tra sconforto e ottimismo, mentre le telecamere vengono distrutte in vario modo, una a una: 5 telecamere rotte per raccontare una resistenza inossidabile.
Questo documentario sconvolgente è firmato a quattro mani da un israeliano (Guy Davidi) e da un palestinese (Emad Burnat). Un film che trascina lo spettatore dentro l’indignazione, e che non a caso ha commosso lo stesso pubblico israeliano, a cominciare dagli studenti delle scuole israeliane ai quali, con mille difficoltà, i produttori riescono a far arrivare la pellicola sollecitando il dibattito sulle responsabilità dell’esercito e sull’occupazione israeliana dei territori palestinesi.
Assolutamente da non perdere.
Emad Burnat si è trasformato da contadino in documentarista per puro caso: avendo ricevuto in regalo una telecamerina che avrebbe voluto usare per riprendere le fasi della crescita del figlio e che è finita per diventare testimone degli scontri del suo villaggio, Bil’in, portandolo in poco tempo a diventare il primo documentarista palestinese nominato agli Oscar. Con un interessante corollario: il 19 febbraio 2013, quando arrivò per presenziare alla notte degli Oscar, fu arrestato dalla polizia dell’aeroporto di Los Angeles perché gli agenti non credevano che un palestinese potesse davvero essere invitato agli Oscar e quindi sospettarono che fosse un terrorista.
“Cuore di Palestina” è nell’ambito di “Bè Bologna Estate 2013”, in collaborazione con Comune di Bologna, Regione Emilia Romagna, Fondazione del Monte, Fondazione Carisbo; con il sostegno di AssoPace Palestina e Hotel Maggiore; con il patrocinio della Missione Diplomatica Palestinese a Roma.