L’Assemblea Regionale dell’Emilia-Romagna ha approvato la nuova legge regionale di riordino delle forme pubbliche di gestione dei servizi sociali e sociosanitari. Se in alcuni ambiti la legge riveste un’importanza nell’obiettivo di razionalizzazione e maggiore coerenza degli ambiti territoriali, è nei dettagli che si nascondono le insidie e la reale volontà del legislatore.
Infatti al secondo comma dell’art. 3 si legge testualmente: “Al fine di assicurare coerenza tra le misure dell’ordinamento statale e le competenze regionali sulla regolamentazione delle forme di gestione dei servizi sociali, socio-sanitari, educativi e scolastici, la normativa vigente stabilita in materia di esclusioni dai divieti e dalle limitazioni nell’assunzione di personale per le Aziende speciali e le Istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi, culturali e farmacie e volta a garantirne la continuità dei servizi nello svolgimento del ruolo, si applica anche alle ASP.”
Tale norma, che al semplice cittadino può apparire scritta in mero burocratese, è tale da mettere le ASP nelle condizioni di assumere senza grandi limiti, facendo aumentare la spesa pubblica corrente. Il tutto – come ha denunciato anche il sistema cooperativo – disattendendo l’orientamento delle leggi approvate come la spending review.
L’intenzione di queste leggi è infatti chiara, e oltre che a rispondere alle urgenze drammatiche della finanza pubblica, vanno anche nel senso di diminuire la spesa pubblica complessiva, unico vero strumento per poter pensare seriamente ad un abbassamento della pressione fiscale (soprattutto su lavoro e imprese), e poter così rilanciare la crescita. La norma approvata dalla Regione Emilia-Romagna va esattamente nella direzione opposta, quella di un aumento della spesa pubblica, confermando anche i dati che dimostrano che la spesa pubblica in Italia, anche grazie ad una malintesa interpretazione del federalismo, è aumentata con il moltiplicarsi dei poteri decisionali degli enti locali, in particolare delle regioni.
Con l’approvazione di questa legge l’aumento dei debiti delle ASP ricadrà direttamente sui comuni soci e le già sofferenti casse comunali saranno gravate di un ulteriore peso, magari coperto da una maggiore imposizione degli enti locali sui cittadini e le imprese.
Norme restrittive dal punto di vista finanziario come quelle che sono entrate in vigore negli ultimi anni invece, sarebbero dovute servire come stimolo ad una riforma del welfare, per renderlo anche maggiormente vicino ai bisogni dei cittadini, soprattutto in questo momento di crisi. Per avere insomma davvero un sistema di servizi che sia universale, di qualità e sostenibile economicamente. In questa regione questo sarebbe possibile grazie anche al ruolo del non profit, del terzo settore, della cooperazione e del privato sociale.
Nella nostra regione il welfare non è mai stato interpretato come mera assistenza, ma è stato un pezzo importante di crescita economica, e anche di partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Ma oggi, all’interno di una crisi strutturale come quella che stiamo vivendo, in un territorio come quello emiliano-romagnolo fortemente esposto a questa crisi, il sistema di welfare tradizionale rischia di trasformarsi da elemento di forza a zavorra. Per questo va seriamente riformato. Per renderlo un pezzo importante della ricetta anti-crisi.
Purtroppo la legge regionale approvata va nella direzione opposta: quella di una maggiore rigidità organizzativa, di un ruolo residuale di tutto quello che non è pubblico (dal volontariato alla cooperazione), di una maggiore spesa pubblica e quindi di una maggiore imposizione fiscale. E il tutto – a nostro parere – senza che tutto ciò si trasformi in migliori servizi per i cittadini. Si tratta di una scelta di conservazione, che non aiuta ad aprire nuove prospettive positive per la nostra regione.
(Chiara Giberti, Mirko Lepre, Simone Montermini – Coordinamento Provinciale Scelta Civica)