Uno studio tutto italiano ha preso in esame l’efficacia nel tempo della terapia antiretrovirale altamente attiva -HAART sull’aspettativa di vita dei pazienti contagiati dall’HIV. I risultati sono stati pubblicati sul numero di febbraio della rivista scientifica internazionale Journal of Acquired Immune Deficiency Syndrome (JAIDS).

Gli autori, coordinati da dott. Giovanni Guaraldi, ricercatore presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, e di cui fa parte anche il prof. Andrea Cossarizza, docente di Patologia Generale e Immunologia sempre all’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, hanno potuto documentare che da un paziente sieropositivo di 40 anni, con adeguato recupero immunologico, ci si può attendere una vita residua di altri di 38 anni, poco diversa dai 41 anni stimata dall’Istat per un cittadino italiano di pari età. Ben diversa la sorte di un HIV positivo della medesima età che non riesca a raggiungere il medesimo target immunologico: per lui l’aspettativa di vita è di appena 23 anni, ovvero quindici di meno.

Lo studio, retrospettivo ed osservazionale, è opera dell’Italian Collaborative HIV Aging Cohort – ICHAC, un network di quattro centri di riferimento per la cura dell’infezione da HIV nel nostro Paese: in primis la Struttura Complessa di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, diretta dalla prof.ssa Cristina Mussini, l’Ospedale San Paolo di Milano, l’Ospedale S. Raffaele di Milano ed il Centro Oncologico di Aviano (Pordenone). Data la collocazione geografica dei quattro ospedali, gli autori hanno confrontato l’aspettativa di vita di un gruppo di pazienti sieropositivi seguiti presso i loro centri e sottoposti alla terapia antiretrovirale altamente attiva – HAART rispetto a quella della popolazione generale di pari età residente nel Nord Italia (ricavata dai dati Istat).

Questo studio, approvato dal Comitato Etico Provinciale, oltre a essere il primo in Italia a fornire stime numeriche precise sull’aspettativa di vita dei pazienti con infezione da HIV, apre le porte a una nuova interpretazione del fenomeno epidemico della malattia. Dimostra, infatti, che la terapia antiretrovirale altamente attiva – HAART è indispensabile, ma non sufficiente per ottenere un aumento della speranza di vita pari o vicina alle attese della popolazione sana. Solo i pazienti che riescono a ottenere un adeguato recupero immunologico dopo l’inizio della terapia, raggiungeranno una speranza di vita paragonabile alla popolazione generale.

L’analisi epidemiologica, eseguita su quasi 10.000 pazienti ha mostrato che l’immuno-recupero, stimato dal raggiungimento di un determinato numero di linfociti presenti nel sangue, è un fenomeno diventato prevalente nella popolazione HIV a partire dal 2005 e giustifica l’incremento di aspettativa di vita di questa popolazione.

Lo studio si inserisce in un’area di ricerca consolidata presso la Struttura Complessa di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, che – da alcuni anni – ha un ruolo di leadership negli studi sull’invecchiamento nei pazienti con infezione da HIV. La Regione Emilia Romagna ha recentemente finanziato nell’ambito dei progetti di Azione Finalizzata una ricerca dal titolo “COPD and emphysema in HIV/AIDS: an example of chronic inflammation, with major gene, environment, public health implications leading to premature aging” (La Bronchite Cronica Ostruttiva e l’enfisema polmonare nei pazienti con infezione da HIV: un esempio di infiammazione cronica, con implicazioni genetiche, ambientali e di salute pubblica che portano a invecchiamento precoce), che vedrà ancora una volta la struttura ospedaliera modenese protagonista in questo settore.

Il dott. Giovanni Guaraldi non si nasconde il proprio entusiasmo nel commentare questi dati: “Noi che abbiamo visto la tragedia dell’AIDS degli anni ‘80 e ‘90 siamo ancora trepidanti a dire che la malattia da HIV può non limitare più la speranza di vita delle persone affette, ma proprio per questo dobbiamo dire con forza che questi risultati si possono ottenere solamente in pazienti che iniziano precocemente le terapia antiretrovirale, poiché possono trarre giovamento di un pieno recupero immunologico”.