Giuliano-PolettiIl ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti ha partecipato oggi a Reggio Emilia alla Festa del 25 Aprile, 69° anniversario della Liberazione, intervenendo in piazza Martiri del 7 Luglio.
“Reggio Emilia è casa nostra, con i fratelli Cervi, il Tricolore, una storia importante. E’ una città che incarna molto bene l’idea di comunità che noi vogliamo cercare di costruire per il nostro Paese. Quindi Reggio Emilia è nella sua dimensione l’idea che noi abbiamo sul futuro dell’Italia”, ha detto fra l’altro Poletti.

 

L’INTERVENTO – “Come ministro – ha aggiunto – mi devo occupare di lavoro e politiche sociali, cioè di tutti quelli che soffrono, che sono poveri, che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, che hanno perso il lavoro e non hanno la pensione. Di quelli che il lavoro non ce l’hanno mai avuto o che non ce la fanno a mandare i figli a scuola.
Mi sono chiesto e mi chiedo ogni giorno: ce la posso fare, ce la possiamo fare? Quando guardi i numeri, le statistiche dell’Istat… Quei numeri sono uomini e donne, padri, figli, giovani, persone, sofferenze.
Poi vengo a Reggio Emilia, vado a Treviso, Forlì, Napoli, Foggia… incontro persone come voi e torno a Roma carico, convinto che le cose si possano fare, non perché le faccio io, ma perché le possano fare gli italiani.
“Penso perciò al 25 Aprile a partire da questa idea: in quel momento, con il fascismo, il nazismo, la guerra, quei giovani della Resistenza non hanno detto ci pensino altri. Hanno messo in gioco la loro vita, hanno rischiato. E non hanno rischiato per se stessi, per la loro personale libertà o per una democrazia solo per se stessi.
Hanno rischiato, andando in montagna, pensando ad un popolo, a una nazione, a dei figli che forse non erano neppure nati. Con un’idea del loro futuro e con un senso forte di responsabilità.
Credo perciò che questo 25 Aprile lo dobbiamo vivere come la festa della Liberazione certo, ma anche come la festa dell’impegno, della responsabilità, dove ogni italiano dice: io sono responsabile del futuro di questo Paese, sono un pezzo della comunità e del suo futuro. Se ragioneremo così, allora il 25 Aprile sarà ancor più una bella giornata, ne avremo usati a pieno i significati. Certo pensando al passato, ricordando doverosamente e con emozione coloro che hanno sacrificato la loro vita e rischiato tanto. Ma pensando e provvedendo al nostro presente e al nostro comune futuro”.

 

“Se vogliamo costruire un Paese – ha proseguito Poletti – dobbiamo costruirlo rischiando, affinché ci siano una cultura e un modo di pensare comuni.
Mi riferisco all’attualità del nostro impegno: dobbiamo tornare oggi a quell’idea di futuro e di responsabilità, dobbiamo essere consapevoli che è un’illusione pensare che i problemi si possano risolvere con un solo articolo di legge. Per scrivere un articolo di legge possono bastare tre minuti. E’ cambiare la testa, la mentalità, che è un problema complicato, ma cruciale. Potremo cambiare e riscrivere tutte le leggi che vogliamo, ma o riusciamo a maturare una cultura diversa o le cose non cambieranno. Deve cambiare il modo di immaginare il futuro, il modo di ogni cittadino di essere dentro la comunità”.

 

“Mi spiego con un esempio: se esci di casa e trovi la bottiglia di plastica buttata sul marciapiede davanti a casa tua, ti chiedi subito perché il Comune non ha spazzato. Non è la domanda giusta! La domanda giusta è: chi è che ha buttato la bottiglia e perché lo ha fatto, invece di metterla nel cestino. In casa nostra pretenderemmo giustamente questo. Ebbene, anche quel marciapiede è nostro, come il salotto di casa. La città è pulita se tutti la teniamo pulita, come la nostra casa. Questo è il punto della responsabilità personale e collettiva.
Dobbiamo superare – ha sottolineato il ministro – il dualismo per cui da una parte c’è lo Stato che si occupa degli interessi della collettività e dall’altra c’è il mercato dove ciascuno fa gli affari suoi. Non funziona così.
Prima dello Stato e del mercato ci sono le persone. E le persone insieme costituiscono le comunità. Le comunità insieme costituiscono la società, che non è somma dei comportamenti individuali, ma dei comportamenti delle comunità, che sono le famiglie, gli amici, i luoghi di lavoro… Le comunità sono fatte da coloro che sanno che staranno meglio se il loro vicino sta meglio. Questo dobbiamo assimilare, per cambiare la nostra mentalità. Questa è la nostra idea nuova di futuro. Ognuno può fare la propria parte.

 

“La politica, le istituzioni devono fare la loro parte. E la prima cosa che la politica, coloro che rappresentano i cittadini, deve fare è una cosa banale: dare l’esempio, con i fatti, non con le parole. Se accetti di rappresentare qualcuno, la tua responsabilità è di coerenza 24 ore su 24”.

 

“Questo Paese – ha proseguito il ministro – un po’ alla volta ha rallentato, si è seduto. Molte volte in questo Paese abbiamo sbagliato solo perché abbiamo avuto paura di sbagliare. Adesso è il momento di decidere, è il momento di prendersi il rischio della decisione. Quando decidi puoi sbagliare, ma se per paura di sbagliare non decidi, hai già sbagliato.
Oggi dobbiamo prenderci la responsabilità delle decisioni, della ricerca delle soluzioni e non dei colpevoli dei problemi, per far stare meglio i nostri concittadini, il nostro vicino.
Abbiamo per questo un grande strumento di scelta e di partecipazione. Si chiama democrazia, nata dalla Resistenza: i cittadini ci giudicheranno e sceglieranno”.

 

“Il futuro dell’Italia – ha concluso Poletti – sta lì, nella responsabilità e nell’idea di un futuro che ci accomuna. Ce la possiamo fare, se affrontiamo le cose con questo spirito, che è lo spirito di questa piazza oggi. Deve essere lo spirito di ogni giorno futuro di questo Paese. Gli italiani sono il motore, la forza di questo Paese e credo che per questo si possa avere una speranza, una giusta motivazione per costruire il futuro”.

 

DICHIARAZIONI ALLA STAMPA – A margine del suo intervento, il ministro Poletti ha risposto ad alcune domande della stampa sui temi delle riforme del lavoro e delle istituzioni.
“A fronte delle politiche economiche e del lavoro che stiamo svolgendo – ha detto – devono esserci imprese che non devono aver paura di assumere. Noi abbiamo voluto dare un segnale molto chiaro alle imprese: potete assumere. Ogni 6-12 mesi un ragazzo veniva licenziato e non più reintegrato. Ora diciamo: se un contratto a termine può durare 36 mesi, per quale ragione devono passare sei giovani in quello stesso posto di lavoro e non può restarci uno solo per 36 mesi, imparando il mestiere e dando in effetti un contributo positivo anche all’azienda? E questo è il segnale che abbiamo voluto dare anche ai giovani.
“Con la legge Fornero, il 68% dei contratti di avviamento al lavoro erano contratti a termine. Personalmente, mi sono impegnato a portare i numeri tra 12 mesi: se quel 68% sarà aumentato, mi sono sbagliato; se sarà diminuito, ho avuto ragione. E’ un modo normale, trasparente, chiaro, rendicontato di affrontare il tema.
Capisco che il sindacato sia legittimamente preoccupato della stabilizzazione, delle tutele. Ma credo di aver di fronte persone ragionevoli. L’obiettivo che abbiamo è lo stesso: la stabilizzazione, un buon lavoro e più lavoro”.
Sulle riforme istituzionali, con un riferimento particolare a quella del Senato, Poletti ha detto: “Se si pensa che va bene così, con le doppie Camere e la doppia lettura dei provvedimenti, lo si dica agli italiani. Io credo che gli italiani vogliano cambiare questa situazione, nella direzione di una semplificazione, certamente di una tutela della democrazia, ma anche di un’efficienza e di un’efficacia della politica. Siamo fermamente convinti della necessità di riforme profonde a partire dalla politica e dalle istituzioni, per passare all’economia e al lavoro. E’ quello che stiamo facendo”.