Luomo-nel-diluvioPer trovare una seria possibilità lavorativa e di vita, per cercare di realizzare le proprie ambizioni, i giovani devono fuggire dall’Italia ed emigrare all’estero? Parte da questa domanda, grande dilemma di questi anni di crisi perdurante, lo spettacolo “L’uomo nel diluvio” di Simone Amendola e Valerio Malorni, in scena giovedì 2 aprile, alle 21, al Nuovo Cinema Teatro Italia di Soliera, nell’ambito della rassegna Arti Vive Habitat.
Punto focale del lavoro è il ritratto di un giovane trentenne, costretto ad emigrare all’estero (a Berlino, per l’esattezza) alla ricerca di quel briciolo di stabilità che l’Italia ormai non gli offre più. Uno spettacolo autoironico e autobiografico che Malorni traspone sulla scena usando la metafora di Noè – il salvatore di ogni specie da quell’epico diluvio universale, alla ricerca di una nuova “vita” – e la sua gigantesca arca. Ne scaturisce un monologo rabbioso, quasi rivendicativo, in cui l’acuta ironia stempera spigoli e rientranze. Un testo che ha vinto il premio IN-BOX 2014 (una rete di teatri, festival e soggetti istituzionali che promuove le eccellenze teatrali emergenti nella scena contemporanea) ed è stato finalista al premio Scenario nel 2013.

Valerio Malorni, mettendo in luce alcuni passaggi autobiografici, racconta che lo spettacolo è nato perché “qualcosa si è rotto, forse le acque, nell’anno 30 della mia vita. E ho cominciato a considerare l’idea di partire, di salvarmi, di salvare mia figlia. Mi sono chiuso in bagno a leggere e ho trovato un uomo che nell’anno 601 della sua vita scende da un’arca, per fondare una nuova vita, dopo il più grande diluvio della storia. Sono uscito dal bagno, allora, per cercare qualcuno a cui raccontare la storia del secondo patriarca; la storia di questa società. La storia di un uomo che ha bisogno di un’arca e ha solo un ombrello, la storia di un uomo che vuole partire, che non vuole dio.”
Per Malorni, la precarietà giovanile è tempestata dal diluvio sociale, economico ed etico che siamo costretti a vivere. Per riuscire a salvarsi dal diluvio l’attore utilizza una vasca, metafora dell’arca biblica, per una fuga solitaria che non salva il mondo, ma prende atto con rabbia che forse un mondo non c’è più, ci sono solo persone (sette miliardi nel mondo, diciotto nel condominio, tre nell’appartamento) che non conosciamo, che non ci vengono fatte conoscere e per le quali non possiamo decidere. Non c’è punto di partenza e neanche punto di arrivo in questa fuga. L’unica via d’uscita allora può sembrare una nuova vita a Berlino, la meta più gettonata dagli italiani per sfuggire a questa devastante tempesta. Ma leggendo un manuale dal titolo “Vivere a Berlino”, la sensazione è di sorpresa e un po’ di delusione: anche Berlino può offrire uno stile di vita disumanizzante e alienante.
Gli autori raccontano che l’idea dello spettacolo è scaturita da “un’immagine di un libro per bambini. Nel libro vi è raffigurata la moglie del patriarca Noè di fronte alla porta di casa, nell’atto di mangiarsi le unghie. Il marito, impegnato nella costruzione dell’arca, le ha dato il compito di scegliere e prendere tutto ciò che intende salvare dal diluvio, ma lei di fronte all’uscio di casa non entra, indugia, e si mangia le unghie. Di fronte al diluvio quotidiano che siamo chiamati a vivere, cerchiamo di costruire un’arca, in cui custodire ciò che ancora rimane, ciò che ancora sta”.

Info e prenotazioni: 059.859665 – 347.3369820 www.fondazionecampori.it