Sono state 5.071 le persone che – dal 17 aprile al 12 maggio 2020 – hanno partecipato al questionario online“Reggio Emilia, come va?”, promosso dall’Amministrazione comunale nel pieno della Fase 1 dell’emergenza Coronavirus per raccogliere alcune informazioni legate agli aspetti della vita quotidiana nei quartieri e ai cambiamenti avvenuti a causa della pandemia. Uno strumento di ascolto rivolto ai cittadini non soltanto per comprendere come hanno vissuto la particolare fase del lockdown, ma anche per ripensare le politiche locali a partire dai nuovi bisogni che l’emergenza ha posto in evidenza. I dati vengono presentati questa sera nel corso della seduta congiunta delle Commissioni ‘Aggiornamento Statuto-Regolamenti-Istituti di partecipazione popolare’ e ‘Crisi Coronavirus’.

Tanti gli spunti emersi dalle risposte, ritenuti prioritari dai reggiani per riprogettare insieme – Amministrazione comunale e cittadini – il presente e il futuro di Reggio Emilia: tra questi i temi legati ai quartieri e alle relazioni di prossimità, la conciliazione dei “tempi e orari della città” sia in termini di mobilità sia in relazione a nuovi modi di vivere il lavoro, la riorganizzazione del tempo libero e di cura, il digitale come strumento abilitante alle opportunità e il valore della disponibilità di spazi verdi. Di questi argomenti, alcuni sono parte integrante del Piano di azioni e indirizzi ‘Reggio Emilia Riparte’.

“Reggio Emilia, come va?” è il primo progetto collaborativo, sviluppato da un Comune in Italia per affrontare il dopo emergenza: il questionario, essendo in formato Creative commons, è stato infatti messo a disposizione – con le dovute modifiche rispetto alle peculiarità specifiche – di altre Amministrazioni che ne faranno richiesta: ad oggi hanno aderito al progetto, chiedendo di poterlo replicare sul loro territorio, i comuni di Cesena, Rimini, Montiano, Alessandria, Cavriago, Santarcangelo di Romagna, Abano Terme e Lucca.

Il questionario rappresenta, anche, la prima fase della nuova stagione di partecipazione nei quartieri, necessariamente rivista nelle modalità proprio a causa dell’emergenza Covid. Il protocollo collaborativo dei laboratori e degli accordi di quartiere infatti è stato rimodulato con questa fase online che, dopo il questionario, prevede momenti di approfondimento e lancio di temi che il Covid ha aperto o accentuato. Da mercoledì 1 luglio prende quindi il via “Siamo QUA. Digital Edition. Pillole di resilienza urbana”, il ciclo di tre conversazioni online promossi dal Comune di Reggio Emilia per riprogrammare – grazie al contributo di esperti autorevoli e rappresentanti di altre istituzioni – interventi e progetti per ripartire nella città dopo l’emergenza Coronavirus. Il format utilizzato sarà quello dei live talks, con incontri online di 45 minuti in diretta streaming sul canale Facebook del Comune di Reggio Emilia. Tutti gli appuntamenti sono in programma alle ore 18.

Il primo appuntamento in programma, previsto per mercoledì 1 luglio, si intitola “Cittadine e cittadini, come va?”: a partire dai risultati del questionario Reggio Emilia come va?”, l’assessore alla Partecipazione Lanfranco de Franco racconterà i risultati emersi, confrontandosi con i rappresentati di altre tre città che lo hanno adottato sul loro territorio: Cesena, Lucca e Rimini. Partecipano l’assessora all’Urbanistica e Rigenerazione urbana del Comune di Cesena Cristina Mazzoni, Valentina Ridolfi della Direzione del Piano Strategico di Rimini e l’assessora all’Urbanistica del Comune di Lucca Serena Mammini.
Il secondo appuntamento è in programma giovedì 9 luglio: partecipano all’incontro, dedicato a “Spazi di interazione e integrazione di quartiere”, l’assessore Lanfranco de Franco e Adriano Cancellieri, sociologo urbano dello IUAV di Venezia.

A chiudere il ciclo, martedì 14 luglio, sarà il talk “Tempo di vita e tempo di lavoro” sulla conciliazione dei tempi di cura e di lavoro come tema strategico del sistema economico, sociale e culturale della città. Partecipano l’assessore Lanfranco de Franco, l’assessora alla Sostenibilità Carlotta Bonvicini e il professore Massimo Neri, ordinario di Organizzazione aziendale e di Comunicazione interna e relazioni di lavoro dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

“A marzo, l’arrivo della pandemia ha bloccato la nuova stagione di ‘Quartiere, bene comune’, con i suoi tradizionali processi di partecipazione nei territori – dice l’assessore alla Partecipazione Lanfranco de Franco – Abbiamo dovuto riprogrammare e rivedere le nostre modalità di azione e, per questo, abbiamo proposto non degli incontri in presenza ma un questionario on line, certamente meno empatico ma l’unico possibile nelle settimane del lockdown. Il questionario, la massiccia partecipazione riscontrata e i risultati ottenuti ci hanno consentito di aggiornare l’agenda delle priorità e degli interventi dell’amministrazione, proprio a partire dai bisogni, dalle sfide e dalle emozioni vissute dalle persone. Saranno i temi dei talks online di luglio ma, anche, dei laboratori e degli accordi di quartiere che, condizioni di contesto permettendo, ripartiranno nei quartieri a partire da settembre”.

“Di grande interesse – prosegue l’assessore de Franco – il tema della prossimità (i vicini di casa, le relazioni e i negozi di quartiere) che emerge come valore dalle risposte dei cittadini e l’interesse e la disponibilità dichiarata per le attività di collaborazione con il Comune e di volontariato in generale: la riconferma di una città inclusiva, aperta e sempre disponibile a mettersi in gioco. Ringrazio gli oltre 5.000 cittadini reggiani che hanno risposto e aderito a questa importante iniziativa: è un incoraggiamento importante per noi per la ripresa delle attività collaborative in presenza e per una nuova stagione di accordi che veda cittadini, associazioni, enti, attività produttive, scuole e parrocchie condividere con il Comune nuovi progetti e nuove sfide per migliorare la qualità della vita e lo sviluppo dei territori e della nostra città”.

 

IL CAMPIONE – Al questionario hanno risposto in modo completo 5.071 cittadini residenti a Reggio Emilia. Il campione finale, esclusi i questionari delle persone che non hanno acconsentito all’utilizzo dei loro dati, è composto da 4.044 cittadini, suddivisi per fasce di età e ambito territoriale di residenza: 11,7% per la fascia 18-29 anni, 21,9% per la fascia 30-39 anni, 26,5% per la fascia 40-49 anni, 21,3% per la fascia 50-59 anni, 13,6% per la fascia 60-69 anni e 5,1% per la fascia over 70. In fase di analisi sono state considerate solo le risposte dei cittadini maggiorenni (dai 18 anni in su) sia per le caratteristiche del questionario stesso e per la tipologia di informazioni richieste.  Considerando che la popolazione complessiva di Reggio Emilia è pari a 142.992 abitanti (dati al 31 dicembre 2019), il campione finale è da considerarsi rappresentativo della popolazione cittadina, segmentata per le fasce d’età indicate. Il campione è composto da cittadini con titolo di studio medio-alto (il 46,2% tra laureati e post laureati) e che vive nella propria abitazione con la propria famiglia (il 50% circa vive in nuclei famigliari di 3 o 4 persone).

Tutti i dati anagrafici sono stati raccolti in formato anonimo.

 

I CONTENUTI –Il questionario si componeva di sei diverse sezioni, di cui una prima parte anagrafica dedicata alla definizione del campione: le altre cinque sezioni erano volte a indagare gli aspetti legati alla quotidianità, alle aspettative e alle paure, alla logistica e ai servizi del proprio quartiere di residenza, alle modalità di fruizione di servizi e informazione.

Dall’analisi delle risposte, è emerso che per i reggiani la pandemia è stata un fattore di preoccupazione ma non di allarme vero e proprio: il 54,9% dei rispondenti si è dichiarata moderatamente preoccupata rispetto all’emergenza Coronavirus, solo il 20% si è detta molto preoccupata. Per un cittadino su tre le maggiori preoccupazioni hanno riguardato l’azzeramento delle relazioni e l’isolamento (30,9%), seguiti dalle limitazioni alle attività e agli interessi che potevano dare benessere all’individuo (16%) e dalla paura del contagio (14%). L’assenza o la forte riduzione delle relazioni umane non sono state solo fonte d’ansia, ma un vero e proprio vuoto emotivo: al 40% circa dei rispondenti sono mancati il contatto umano e fisico con alcuni componenti la famiglia e le persone care e lo stare con gli amici.

Se il lockdown ha certamente spaventato le persone e limitato le loro libertà, ha però riportato al centro dell’attenzione il tema delle relazioni, familiari e di prossimità, riposizionandone l’importanza nella graduatoria della qualità della vita: quasi il 62% del campione ha affermato di aver rafforzato o creato relazioni con persone care o vicini di casa, il 44,1% dei rispondenti ha affermato di aver trovato utili i servizi organizzati dai negozianti di quartiere nel periodo della pandemia, apprezzando la capacità di questi esercenti di innovarsi in modo rapido e flessibile rispetto alle nuove esigenze. C’è stata una riscoperta del volontariato: il 17,3% del campione ha dichiarato di aver aiutato qualcuno nel momento del bisogno, il 9,9% di aver supportato o collaborato con un’associazione organizzata, il 4,4% di essere stato aiutato nel momento del bisogno.

Tra i temi indagati dal questionario, c’è stato l’impatto sul lavoro di cura, considerato la chiusura forzata dei servizi educativi e rivolti alle fasce più deboli, con un massiccio ricorso allo smart working. Nonostante il 66% degli intervistati non abbia rilevato un carico di cura in aumento, se non per alcune tipologie di parentela ascrivibili al contesto familiare come i figli in casa e i genitori fuori casa, emerge una dimensione critica di conciliazione dei tempi di vita, lavoro e gestione della casa e della famiglia durante la pandemia. Una parte importante dei reggiani ha dovuto fare i conti con le difficoltà di gestione di una giornata divisa, all’interno delle mura domestiche, tra l’attività di cura della casa, di gestione del tempo scolastico ma anche ludico dei figli e talvolta dei genitori o dei parenti con disabilità, e poi del proprio lavoro, prevalentemente svolto in casa o alternato tra casa e ufficio. La difficoltà maggiore è stata quella di svolgere attività di affiancamento dei propri figli nella didattica a distanza: allo stesso tempo i figli, insieme alla famiglia in senso generale, sono stati anche coloro con i quali gli intervistati hanno dichiarato di aver rafforzato relazioni che, in precedenza, erano probabilmente limitate dal minor tempo passato insieme. Più del 45% dei rispondenti ha dichiarato che le relazioni di vicinato sono state molto o abbastanza importanti nella fase di emergenza, a testimonianza della scoperta e riscoperta dell’importanza della prossimità nella fase di difficoltà.

La paura di perdere il lavoro e i rischi economici rappresentano due dei temi maggiormente sentiti: anagraficamente, la fascia con maggiori preoccupazioni in questo ambito è quella tra i 40 e i 49 anni, ma si estende con livelli significativi anche nella fascia di età 30-39 (dove prevale la paura della perdita del lavoro) e quella 50-59 anni (dove prevalgono i problemi economici). Sono inoltre più preoccupati per la possibile perdita di lavoro e per le difficoltà economiche coloro che, attualmente in casa integrazione, vivono con la famiglia (da 2 a 4 persone).

Dalla lettura dei dati sembra emergere la necessità di ripensare e riorganizzare la città e i servizi in una logica orientata a una revisione dei tempi e orari della comunità. In questa fase particolare, infatti, le persone si sono trovate a dover “apprendere per esperienza diretta” nuovi modi di regolare i tempi, vivere gli spazi e gestire le relazioni e le attività a proprio carico. Un’ulteriore evidenza che emerge dai dati, infine, è la maggiore attenzione all’ambiente, con una rivalutazione degli spazi verdi, ritenuti fondamentali sia rispetto al proprio benessere che al giudizio di adeguatezza della propria abitazione: se in molti hanno sofferto per la reclusione forzata, chi disponeva di spazi verdi o accesso al verde ha vissuto meglio il lockdown e ha rivalutato e goduto maggiormente di queste opportunità, sia che fossero individuali che comuni.

Per quanto riguarda lo spazio della propria casa e del proprio quartiere, la maggioranza degli intervistati dichiara di abitare in case indipendenti (quasi il 33%) o di metratura medio-grande (oltre il 54%) che, anche alla luce dell’emergenza sanitaria, reputa adeguate alle esigenze che si sono manifestate durante il lockdown. All’epoca della rilevazione, il 54% dei rispondenti stava lavorando in regime di smart working dal proprio domicilio: la maggioranza di coloro che hanno dichiarato di lavorare nelle settimane della pandemia erano dotati di uno spazio domestico in cui poterlo fare, isolandosi dagli altri componenti della famiglia e in una situazione di comfort e benessere (74%). Stessa cosa – estesa anche a coloro che non lavorano – rispetto alla presenza di spazi in cui esercitare attività di benessere e relax senza interferire con le attività svolte dagli altri membri della famiglia (67%).

In maggioranza, gli intervistati hanno dichiarato di abitare in case adeguate alle loro esigenze anche dal punto di vista della connettività alla rete internet (76,6%). Questo ha di fatto permesso di lavorare da casa o di poter garantire ai propri figli la didattica a distanza. Per l’80% del campione, l’opinione complessiva della maggioranza degli intervistati sulla propria abitazione in termini di adeguatezza non ha subito modifiche rispetto a prima del lockdown. Per il 60,3%, tuttavia, sono mancati gli spazi verdi o aperti (privati e comuni), mentre per il 29,5% l’abitazione si è rivelata troppo piccola.

Per quanto invece riguarda il quartiere di residenza, il 63% dei rispondenti ha dichiarato di non avere avuto problemi a fare la spesa nella fase di emergenza. Il 57% delle persone ha continuato a rivolgersi alla grande distribuzione, fruendo del supermercato, recandovisi di persona -, mentre il 33% dei rispondenti è ricorso, recandosi direttamente o attraverso la modalità delivery, ai piccoli negozi di vicinato. Se la grande distribuzione viene raggiunta in auto, in una modalità che ha consentito di diradare il numero di spese, per quel 20% e oltre di cittadini affezionati al negozio di quartiere la bici (7%) o la passeggiata (28%) sono state le modalità preferite per comprare generi di prima necessità durante la pandemia. Tra i cittadini che hanno frequentato i negozi di vicinato durante la pandemia, due su tre hanno dichiarato che continueranno a farlo: un cambiamento interessante nelle abitudini di approvvigionamento alimentare e una buona valutazione, anche, delle capacità di adattamento e resilienza dimostrati proprio da questa categoria.

La pandemia sembra inoltre aver lasciato in eredità una maggiore sensibilità sui temi ambientali, della riqualificazione urbana e, naturalmente, della crisi economica: l’attivazione di progetti per la qualità dell’ambiente, il clima , la salute e la mobilità sostenibile hanno fatto registrare il gradimento maggiore tra le sfide da vincere nell’immediato futuro a livello di quartiere, seguite da quelle relative alla riqualificazione e vivibilità dello spazio pubblico e riattivazione di spazi dismessi o sottoutilizzati. Seguono le misure di sostegno economico e di attivazione del credito per le micro-imprese e il commercio, la creazione di servizi o l’attivazione di spazi per l’educazione e la scuola e per la formazione, la creazione e il potenziamento dei servizi alla persona, di cura e della comunità e benessere psico-fisico ala pari della riattivazione di servizi o spazi culturali, interculturali e creativi. I progetti relativi all’agricoltura urbana sembrano quali meno urgenti e prioritari.

Rispetto ai temi indicati come sfide importanti nei quartieri di residenza, la maggioranza degli intervistati si dichiara “certamente” (20,9%) o “probabilmente” (35%) interessata ad attivarsi in modo diretto con attività di volontariato a favore della propria comunità: più del 50% dei cittadini è il bacino potenzialmente disponibile per costruire programmazione e co-gestione di interventi che puntino a risolvere le sfide poste o acuite dall’emergenza sanitaria. Ancora più interessante è la classe di età di questi potenziali volontari, in particolare per quelli compresi tra i 30 e i 49 anni.

Per quanto riguarda infine l’utilizzo di internet e dei servizi in rete, la pandemia ha fatto registrare una complessiva crescita dei canali di comunicazione istituzionale online del Comune, e in particolare i social network, il sito e l’Ufficio relazioni con il pubblico.

Se il 76,6% dei rispondenti ha dichiarato di essere soddisfatto degli strumenti e della connessione necessaria per le attività da casa, nelle aree frazionali si nota una maggiore criticità nella connettività da colmare per pareggiare le opportunità nei diversi territori della città.

Nel complesso l’operato del Comune di Reggio Emilia durante la pandemia è stato giudicato in modo più che positivo: oltre il 75% dei giudizi espressi si colloca infatti tra il 4 e il 5, valori più alti nella scala di gradimento.

I risultati completi del questionario sono consultabili sul sito del Comune di reggio Emilia all’indirizzo www.comune.re.it/reggioemiliacomeva.