
Nella mattinata del 7 agosto scorso, all’esito delle indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna, gli investigatori della Sezione investigativa del Servizio Centrale Operativo (S.I.S.C.O.) di Bologna e della Squadra Mobile hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo di un esercizio commerciale, sito a San Pietro in Casale e destinato alla vendita di prodotti da forno, nonché dei conti correnti riconducibili all’azienda stessa. Il decreto è stato emesso dal G.I.P del Tribunale di Bologna, nei confronti di un uomo pluripregiudicato di origini calabresi, ma da anni stanziale nel capoluogo emiliano, e delle due figlie.
L’inchiesta, condotta da febbraio 2024 con numerosi servizi di intercettazione, acquisizione tabulati e ascolto di persone informate sui fatti, è stata avviata in seguito all’acquisto sospetto di un’attività commerciale, storica e ben avviata a San Pietro in Casale, da parte delle due figlie di un pregiudicato calabrese, già noto alle Forze dell’Ordine per essere stato, come accertato da diverse condanne a suo carico, un broker della cocaina a disposizione della famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso, capace di far arrivare ingenti quantità di stupefacente dal Sud America. Infatti, l’odierno indagato è stato protagonista, negli anni, non solo di importanti indagini coordinate dalla DDA di Catanzaro, denominate “Decollo”, “Decollo bis” e “Decollo ter”, ma anche di inchieste della DDA felsinea denominate “Due torri connection” e “Golden jain” tutte in materia di narcotraffico.
Il pregiudicato, attualmente detenuto presso la Casa Circondariale di Parma per altra causa, in virtù del proprio trascorso criminale è stato sottoposto nel 2006 dal Tribunale di Vibo Valentia e nel 2020 da quello di Catanzaro alla misura della Sorveglianza Speciale di Pubblica sicurezza; nel maggio del 2022 gli è stata notificata la misura di prevenzione del sequestro di alcuni immobili nella sua disponibilità ma di fatto intestati formalmente ad una terza persona ed al cognato. Le indagini hanno consentito di accertare come l’uomo, all’epoca dell’indagine quando si trovava in regime di detenzione domiciliare per motivi di salute – dovendo espiare l’ordine di esecuzione alla pena di 30 anni di reclusione emesso dalla Procura Generale di Catanzaro per i delitti di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti -, nonostante la restrizione domiciliare ha di fatto rilevato una società attiva nel settore della panificazione, intestandola fittiziamente alle due figlie, entrambe presunte complici, proprio per eludere eventuali provvedimenti di sequestro a suo carico integrando, pertanto, il reato di trasferimento fraudolento di beni e valori.
Il sequestro, dunque, ha come finalità quella di evitare che soggetti già colpiti da misure di prevenzione patrimoniali (come sequestri o confische) possano aggirare la normativa antimafia (d.lgs. n. 159/2011) risultando di fatto titolari di beni in realtà fittiziamente intestati a terze persone (prestanomi), rendendoli così irreperibili alle autorità. In particolare, nel corso dell’inchiesta è emerso come l’uomo abbia gestito l’attività commerciale come se fosse il reale titolare, veicolando alle figlie disposizioni autoritarie concernenti l’acquisto del forno, la gestione del personale dipendente, le strategie commerciali e di marketing.
All’esito delle operazioni, l’attività aperta al pubblico è stata affidata ad un amministratore giudiziario appositamente nominato dal Tribunale per la prosecuzione delle attività. È stata poi redatta l’elezione di domicilio nei confronti dei tre soggetti, indagati per il reato di trasferimento di beni e valori.
Si specifica che si procede nella fase delle indagini preliminari con presunzione di innocenza degli indagati.