A 150 anni dal primo progetto di captazione delle acque dell’Enza, oggi pomeriggio in Provincia si è tornato a parlare della diga di Vetto grazie alla seduta congiunta delle Commissioni Pianificazione-Ambiente e Infrastrutture convocata dai rispettivi presidenti Guido Ligabue e Paolo Roggero ed aperta a diversi interlocutori, tra cui associazioni agricole, consiglieri regionali, pubblici amministratori.

Proprio Roggero, nell’aprire i lavori dell’affollata riunione, ha precisato il senso della iniziativa “intrapresa per dare un contributo a chiarire gli aspetti di un’opera di cui si parla da oltre un secolo e che potrebbe avere importanti conseguenze in tema di produzione di energia pulita idroelettrica, tutela del territorio a valle, salvaguardia delle comunità montane, sostegno all’agricoltura, sviluppo del turismo ed opportunità di lavoro”. “E’ un primo aggiornamento che ci consente di riprendere in mano un tema di cui da tempo non si parlava più, ma questa Commissione non deve né potrebbe decidere nulla”, ha aggiunto Ligabue ricordando “che comunque anche il Ptcp approvato a giugno prevede risposte sul tema dell’utilizzo delle risorse idriche”.

In apertura di lavori, proprio in considerazione della finalità principalmente conoscitiva della seduta congiunta, si è discusso anche degli inviti effettuati. Per Alberto Ferrigno (Rifondazione comunista) “proprio per la complessità dell’argomento sarebbe opportuno sentire tutti i pareri, anche quelli contrari”. Anche Paolo Croci (Pd) ha “chiesto maggiore chiarezza sui criteri utilizzati, visto che ad aprire gli interventi sarà il Comitato promotore della diga di Vetto, ma non sono state ad esempio invitate le associazioni ambientaliste”. Di “polemica stucchevole” ha parlato Stefano Tombari (Lega Nord) per il quale “va invece dato atto ai due presidenti di aver riaperto la discussione su un tema così importante”. Gli stessi Roggero e Ligabue hanno a loro volta precisato che “quello di oggi è sicuramente solo un primo passaggio” e “che gli inviti vanno in effetti allargati, a partire dalla Provincia di Parma”, mentre l’assessore all’Ambiente Mirko Tutino ha confermato la volontà della Giunta “di voler ascoltare e valutare eventuali novità relative alla fattibilità della diga di Vetto”.

Ad aprire gli interventi è stato Lino Franzini del Comitato promotore della diga, “un comitato apartitico che unisce esponenti di centrodestra e centrosinistra”, ha precisato. “Ho lavorato per 40 anni in Enel occupandomi di invasi, e ho capito quanto importanti siano per la montagna, quanta ricchezza turistica siano in grado di assicurare”. “Andato in pensione e tornato nel mio Appennino, io che sono di Ramiseto, ho quindi deciso di impegnarmi perché questa diga si realizzi, mi sono documentato, ho recuperato il progetto originale e i cinque volumi dello studio di impatto ambientale su sicurezza e ambiente, costato sui 6 miliardi di lire e 3 anni di lavoro – ha detto – Posso assicurare che non c’è alcun rischio Vajont, non c’è pericolo di frane, di terremoti e mutamenti climatici, ma anzi contrario, l’invaso mette al riparo da alluvioni a valle. La diga può dunque solo portare benefici alla montagna e alla pianura e con un project financing oggi può forse essere realizzata”.

Per il sindaco di Palanzano (Parma), Giorgio Maggiali, “dove c’è la diga c’è benessere, e adesso sulle nostre montagna di benessere ce n’è davvero poco: occorre quindi riprendere in mano un progetto che non è stato certo accantonato per colpa della pur rispettabile lontra, ma semmai di certi politici di altre parti che venivano eletti nei nostri collegi sicuri e che hanno lasciato che i finanziamenti finissero altrove”.

Per il consigliere provinciale della Lega Nord Romano Albertini “la città è disinteressata ai problemi della montagna, la diga serve e gli ambientalisti, che dovrebbero semmai essere più attenti a certe escavazioni di ghiaia, dovrebbero solo apprezzare un impianto che ci consentirebbe l’utilizzo dell’energia più pulita sulla faccia della terra”.

“Questa riunione è un’idea felice e il coraggio di Franzini va apprezzato perché ci permette di riprendere con vigore un tema importante che era stato abbandonato” ha detto Mario Poli dell’Udc sottolineando di essere “un sostenitore della prima ora della diga di Vetto, da quando come segretario della Cisl di Reggio nel 1998 organizzai un convegno per difendere una montagna in grande declino economico e sociale”.

“Franzini è un signore che vorrebbe lasciare il suo territorio più ricco – ha affermato il consigliere regionale del Pd Fabio Filippi – Alla Provincia di Reggio non chiede soldi, chiede solo un parere, favorevole o contrario. Chiede una scelta coraggiosa a favore di questa opera fondamentale”.

“Sono da sempre favorevole, ma con un approccio laico e non ideologico , a questo progetto che dà risposte a tanti problemi – ha dichiarato il vicepresidente del Consiglio provinciale Vito Castellari (Pdl) – C’è bisogno di questa risorsa dolce e pulita e di un’opera che è valida anche sotto il profilo ambientale”.

Marco Benati della Confagricoltori ha apprezzato “in particolare una inversione di tendenza rispetto alla Regione: qui si sta attuando la direttiva europea sulla pianificazione delle acque, mentre il piano regionale è stato calato dall’alto, senza sentire i portatori di interesse. La nostra vita sociale, non solo produttiva, ha bisogno di acqua e l’Enza ha bisogno di una pianificazione più attenta minimo deflusso vitale anche nelle falde”.

E’ quindi intervenuto l’assessore provinciale all’Ambiente e alla Pianificazione Mirko Tutino, che ha esordito sottolineando la “passione vera, disinteressata, fuori da schieramenti di partito, ma finalizzata solo al benessere della comunità locale di Franzini”. “Di fronte a parole che hanno scaldato i cuori abbiamo però il dovere di non tradire queste proposte con analisi di propaganda politica fatta per compiacere nostri interlocutori senza assumerci, nelle sedi politiche opportune, impegni precisi – ha continuato – Spiace che non ci siano i parlamentari, perché specie a quelli di maggioranza avrei chiesto impegni per valorizzare il nostro territorio e i piccoli centri come quelli dell’Appennino, ai quali il Governo sta tagliando risorse importantissime. Se si sopprimono le scuole e si tolgono trasporti, si è ipocriti a sostenere grandi opere, che magari danno lavoro temporaneamente a grandi gruppi che vengono da fuori e utilizzano lavoratori stranieri. Nel merito, credo che per quanto riguarda la portata solida dei detriti, il rischio sismico ed idrogeologico, la sicurezza delle popolazioni a valle, restino dopo così tanto tempo dubbi che impongono non un no pregiudiziale alla diga, ma certamente valutazioni profonde, complete ed aggiornate. E non dobbiamo dimenticare che l’attuale situazione italiana non consente studi, prima ancora che cantieri, senza l’appoggio convinto del Governo nazionale, che al momento pare però più interessato a usare risorse per ponti sullo stretto e impianti per rifiuti che noi, qui in Emilia, ci siamo invece pagati da soli con le bollette. Credo che ai bisogni idrici del nostro territorio sia meglio rispondere, come prevede il Ptcp approvato a giugno, con opere concrete e realizzabili nel medio-periodo”.

L’assessore provinciale all’Agricoltura Roberta Rivi ha quindi ricordato come “proprio l’agricoltura sia il maggior fruitore della risorsa acqua, con il 60% del consumo nazionale che, nel Reggiano, è di qualche punto percentuale ancora più elevato per le tante produzioni di qualità, a partire dal Parmigiano-Reggiano, che richiedono il giusto apporto idrico”. “Abbiamo 82.000 ettari di terreno irrigabile, il 65% del quale a Nord servito dal Po che garantisce 145 milioni di metri cubi, contro i 12 e i 17 rispettivamente di Enza e Secchia. Il nostro deficit idrico, secondo uno studio dell’Università, è di 9 milioni di metri cubi, che può essere soddisfatto con strutture razionali, condivise e fattibili – ha aggiunto – Se la diga, in tutti questi anni, non si è mai realizzata e gli stessi Ministeri sono sempre stati divisi, una ragione forse ci sarà. Se la stessa Autorità di bacino ha detto di no nel febbraio 1999 a un invaso da almeno 100 milioni una ragione forse ci sarà”. Il progetto Marcello costava 200 miliardi di lire all’epoca, oggi dove si troverebbero questi soldi? Quanto altro tempo passerebbe per rifare tutto lo studio quando l’agricoltura ha urgenza di acqua? Credo che il percorso avviato con il Ptcp per realizzare invasi debba impegnarci seriamente tutti quanti. Il continuare a confrontarsi sul sì e il no, privilegiando la dialettica alla concretezza dei fatti, è un esercizio poco proficuo”.