referendum-scuola-pubblicaIl sindaco di Bologna Virginio Merola manda a dire ai propri concittadini che se vogliono andare a votare al referendum del 26 maggio facciano pure, ma non servirà a niente. Tanto lui ha ricevuto un mandato dalle urne e intende portarlo avanti a prescindere da come la pensano i bolognesi.

Dunque chiediamo al primo cittadino: a cosa serve l’istituto del referendum consultivo? Se le parole hanno ancora un senso, ci sembra che dovrebbe servire a consultare la cittadinanza su una data questione. E’ evidente che i governanti non sono vincolati al parere espresso dai cittadini: dipende da quale valore attribuiscono alla consultazione popolare. Possono decidere di tenerne conto in misura maggiore o minore, ma certo annunciarne preventivamente l’inutilità equivale ad affermare che il parere popolare conta zero.

Detto questo, consigliamo al sindaco di informarsi prima di affermare che questo referendum non riguarderebbe la scuola dell’infanzia. Se leggesse il quesito referendario scoprirebbe infatti che parla proprio di “scuola dell’infanzia” e non “genericamente di scuola pubblica” e la scuola dell’infanzia è “pubblica” dal 1968 (legge 444), cioè un diritto garantito dalla Costituzione che va assicurato a chiunque ne faccia richiesta.

L’interesse nazionale nato intorno a questo referendum dovrebbe essere motivo di orgoglio per la città che si appresta a una consultazione democratica. Il fatto che tanti intellettuali e personalità di grande calibro guardino a Bologna e si interessino del dibattito cittadino, è un fattore indubbiamente positivo. Non esiste un caso nazionale che “si gioca sulla pelle dei bolognesi”, ma al contrario, un momento di protagonismo dei bolognesi, davanti a tutto il Paese. La cittadinanza potrà comunicare ai propri governanti dove ritiene meglio stanziare le risorse pubbliche (cioè i soldi delle nostre tasse): nella scuola di tutti o in quella di pochi.

 

(Nuovo Comitato Articolo 33)