Una TAC per tre uova di dinosauro. Il Centro di Anatomia dell’Alma Mater e un gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali sono riusciti a ottenere immagini di altissima definizione di tre reperti provenienti dalla Collezione di Geologia “Museo Giovanni Capellini” dell’Ateneo, ricostruendo modelli tridimensionali estremamente precisi.

Utilizzando la prima macchina per tomografia computerizzata in Italia dedicata esclusivamente alla ricerca (la nuova TC Philips Incisive), gli studiosi hanno potuto esplorare la morfologia interna ed esterna delle uova per comprenderne il contenuto originario e la struttura dei gusci: un risultato che apre nuove prospettive nello studio di reperti paleontologici e museali.

L’analisi, condotta attraverso l’acquisizione di immagini TAC ad alta risoluzione dei fossili, ha coinvolto il Centro di Anatomia Clinica e Chirurgica Sperimentale e Molecolare, diretto dalla professoressa Lucia Manzoli, e il gruppo di ricerca guidato da Federico Fanti, professore al Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali.

“È un esempio straordinario di come le tecniche di imaging avanzato, sviluppate per la medicina di precisione, possano essere applicate anche in altri campi”, spiega Stefano Ratti, professore al Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie e Coordinatore Scientifico del Centro Anatomico dell’Università di Bologna. “In questo caso, la stessa tecnologia che ci permette di studiare il corpo umano è stata impiegata per esplorare reperti unici e di grande valore storico e scientifico”.

La tomografia computerizzata si rivela così uno strumento fondamentale non solo in ambito clinico, ma anche nella paleobiologia, nella conservazione museale e nella valorizzazione del patrimonio culturale.

Una delle tre uova, donata dal dott. E. Pèlagaud nel XIX secolo al prof. Giovanni Capellini (1833-1922), geologo, paleontologo e rettore dell’Alma Mater, appartiene alla specie Aepyornis maximus. Fu rinvenuta in una palude nei pressi di Nos-Vey, in Madagascar, dove questa specie di uccello gigante sopravvisse fino al XVII secolo. L’uovo ha una circonferenza massima di oltre 80 centimetri e una capacità stimata di circa sette litri (pari a circa 115 uova di gallina). In origine conteneva un feto, che venne rimosso tramite un piccolo foro nel guscio: il reperto è tuttora conservato nella Collezione di Geologia “Museo Giovanni Capellini”.

“Si tratta di un reperto di straordinario valore scientifico e storico, che ci permette di collegare le ricerche odierne con le intuizioni dei grandi studiosi dell’Ottocento”, sottolinea Federico Fanti.

Le altre due uova, mai studiate prima, sono di dimensioni inferiori e appartengono a una specie di dinosauro non ancora identificata. Le analisi non hanno rilevato embrioni all’interno dei tre esemplari, rendendo impossibile identificare con precisione la specie delle due uova di dinosauro. L’esame del guscio e del contenuto minerale potrà però fornire ulteriori informazioni utili all’identificazione della possibile specie di dinosauro coinvolto.