Il Circolo Culturale Fahrenheit 451 presenta la prima visione cinematografica dell’opera d’esordio del regista sassolese Filiberto Basile.
Mercoledì 19 maggio alle ore 21.00 presso il Teatro Cinema San Francesco verrà proiettato il lungometraggio Suisaid.


TITOLO: Suisaid
REGIA: Filiberto Basile
SOGGETTO: Filiberto Basile
SCENEGGIATURA: Filiberto Basile, Andrea Comastri, Fabio Bolzoni, Giacomo Ferrari
CAST (personaggi principali): Fabio Bolzoni, Filiberto Basile, Andrea Comastri, Giacomo Ferrari, Sergio Basile, Lara Mammi
DURATA: 170′
GENERE: Horror-grottesco
PRODUZIONE: 1998-2003

TRAMA: Un ragazzo disadattato ed insicuro vittima di numerose disgrazie, decide di togliersi la vita, ma dopo aver fallito più volte nell’intento,
risolve a chiedere l’aiuto, prezzolato, dei suoi tre “amici”. A loro volta i
tre si vedono costretti ad assoldare un killer professionista, che però gli si piazza in casa costringendoli ad un’ impossibile convivenza, che porterà conseguenze nefaste.

AUTORE: Filiberto Basile, nato a Sassuolo nel 1974. Laureato al Dams di
Bologna indirizzo cinema, con una tesi su George A. Romero e la Trilogia dei morti viventi. Ha collaborato con diverse televisioni locali come cameraman e regista. Ha curato le riprese video del Festival della Filosofia per il
Comune di Sassuolo. Ha realizzato due cortometraggi (Block, ’97 e La collera dei Calanchi, ’99) che hanno riscosso notevole successo nel circuito nazionale dedicato al corto.

RECENSIONE: In Italia, lo si dice da tempo, la crisi dell’industria
cinematografica ha costretto molte delle professionalità più importanti, che
hanno reso grande il cinema italiano ad emigrare o, peggio ancora, a cessare l’attività.
Il cinema italiano infatti ha sempre contato su eccezionali artigiani del
set, capaci di costruire, e non digitalizzare, interi mondi. Figlio di
questa illustre tradizione di falegnami, truccatori, scenografi e costumisti
in Italia è fiorito, specie negli anni ’60-’70 il più straordinario cinema di genere che si sia mai potuto apprezzare e che ora, registi di culto come
Tim Burton e Quentin Tarantino sbandierano fieramente come proprio ispiratore.

In questo solco si inserisce l’attitudine filmica di Basile, un vero artigiano del cinema, per lo più autodidatta, come tutti i grandi, cultore
di un cinema d’azione e dell’orrore, oramai purtroppo misconosciuto in
questo paese, sulla scia di personalità come John Carpenter o Sam Raimi o G.A. Romero, che hanno ri-creato un genere rendendolo popolare in tutto il
pianeta.

Suisaid, primo lungometraggio dell’autore, affronta e scavalca senza curarsene quasi tutti i generi cinematografici, si rende fiero esempio di
irriguardosità filmica; travolge inesorabilmente tutti i clichè più noti, li
rende propri e li rielabora con un gusto, si del mestiere, ma anche con una
maleducazione filmica che francamente in Italia sembrava dimenticata. E’ decisamente
un’opera viva, fresca, intrisa di felici intuizioni registiche e di
scrittura; impossibile definirne la matrice, perché affronta tutti i generi
cinematografici, intendendo il termine “genere” nel suo significato tecnico.
Si tratta infatti di una sorta di divertente e folle enciclopedia filmica:
si passa con disinvoltura dalla commedia all’horror, dal western (anche se
non ci sono I cowboy, ci sono però I duelli, I paesaggi di ampio respiro
quasi fordiani o leoniani) all’action-movie fino all’exploitation (la
battaglia fra bande), il tutto frullato e riletto in un’ottica a metà strada
fra l’ironico e il cinico (si citano Ciprì e Maresco, unici alfieri italiani
della maleducazione di cui sopra, ma anche Bud Spencer e Terence Hill).

Ricorda, ma li supera per consapevolezza, i primi lavori di Peter Jackson,
ora pluripremiato regista della trilogia de Il signore degli anelli.
Quello di Basile è un cinema del limite, che gioca sui confini della settima arte, li mescola, si spinge fino all’irritante, per poi spostarne la soglia
un pò più in la. Limite che è anche fieramente tecnico appunto, condizione forzosa nella quale l’inventiva, il genio e la creatività trovano ampi spazi, illimitati. La matrice naif dell’opera potrà ingannare solo i meno accorti, il film è anche un’aspra e pungente critica al qualunquismo
tipicamente italiota in cui gli stereotipi si accumulano e ancora una volta si mischiano, creando un furibondo gioco di richiami semantici. Potrà anche
essere travisato (certo, presta il fianco) come tanti capolavori prima di
questo, ma la prova registica è straordinaria.

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