Nessun nuovo polo estrattivo di ghiaie che saranno sostituite da materiali alternativi, regole più severe sulla profondità delle escavazioni, qualificazione delle aree vicino ai fiumi attraverso lo spostamento di gran parte dei frantoi, recupero ambientale delle cave dimesse e loro riutilizzo anche per aumentare la capacità delle casse di espansione dei fiumi; tutto questo rispondendo alla domanda di materie prime (soprattutto inerti, cioè ghiaie e argille) per la realizzazione di infrastrutture, nell’edilizia e nel settore ceramico per i prossimi dieci anni. Sono questi i contenuti principali del nuovo Piano delle attività estrattive della Provincia di Modena adottato mercoledì 25 giugno dal Consiglio provinciale con il voto favorevole del Pd, contrario il centrodestra, astenuti Prc e Verdi. Dal 30 luglio partiranno i due mesi di tempo per le eventuali osservazione prima dell’approvazione definitiva.


Sulla base delle previsioni dello sviluppo economico e demografico dei prossimi anni, il Piano individua un fabbisogno stimato massimo di inerti di 27 milioni di metri cubi per l’edilizia e 23 per le infrastrutture tra cui spiccano la costruzione dell’autostrada Cispadana, la bretella Campogalliano -Sassuolo e la terza corsia dell’A22 Abetone Brennero nel territorio modenese.

«Aumentano le tutele ambientali – sottolinea Alberto Caldana, assessore provinciale all’Ambiente – con una attenzione particolare alla riqualificazione delle aste fluviali di Secchia e Panaro e della montagna. Oltre all’allontanamento di gran parte dei frantoi esistenti sui fiumi, questo Piano prevede una completa razionalizzazione delle attività estrattive, concentrando i poli estrattivi e dimezzando le aree dove in passato era possibile scavare».
Il provvedimento ha valore anche come piano comunale per i 18 Comuni che hanno sottoscritto l’intesa con la Provincia, tra cui Modena, Castelfranco, S. Cesario, Sassuolo e Spilamberto dove sono presenti i poli estrattivi principali.
Tra le novità strategiche c’è anche un maggiore ricorso ai materiali alternativi come i limi sabbiosi (da estrarre in alcuni nuovi poli nei comuni dell’area nord) che saranno utilizzati al posto delle ghiaie, materiale pregiato, per le infrastrutture viarie in particolare per il rilevato della Cispadana. In base alle previsioni contenute nel Piano, le attività estrattive si concentreranno a Modena e Formigine, per quanto riguarda l’asta del Secchia, e a S.Cesario, Castelfranco Emilia e Savignano per il Panaro. Gli altri poli chiuderanno progressivamente nel corso della durata del Piano stesso.

Previsti 28 poli estrattivi in 20 Comuni
I poli estrattivi di interesse provinciale previsti dal Piano sono in tutto 28 sparsi in una ventina di comuni. A questi si aggiungono 19 ambiti estrattivi comunali di ridotte dimensioni e 31 ambiti comunali non perimetrati, anche questi di modeste dimensioni, che hanno una valenza esclusivamente locale.
I poli principali si trovano nei comuni di Modena, Castelfranco Emilia, S.Cesario, Savignano, più quattro nuovi poli di argilla nei comuni di Mirandola, Finale Emilia e S.Felice sul Panaro previsti in vista dei lavori della Cispadana.
Come spiega Alberto Caldana, assessore provinciale all’Ambiente, «si tratta in parte di poli già esistenti dai quali estrarre materiali sulla base dei fabbisogni stimati e programmati che però potrebbero ridursi nel tempo. Non è detto insomma che tutti i poli previsti funzioneranno a pieno regime, mentre di certo una decina chiuderanno per esaurimento. Inoltre le profondità fino a cui sarà possibile scavare restano inferiori rispetto a quelle previste dalle altre Province della regione».
In base al percorso di razionalizzazione previsto dal Piano, tra i poli per cui è prevista la chiusura spiccano il polo 7 di tra Modena e S.Cesario che sarà rinaturalizzato e diventerà parte del sistema delle casse di espansione del Panaro e il polo di limi sabbiosi ai Prati di S.Clemente a Modena che una volta chiuso diventerà parte della nuova cassa di espansione e del Naviglio. Chiuderanno anche alcuni poli a Sassuolo (via Ancora) e a Campogalliano grazie al potenziamento delle attività nel polo di Marzaglia.
Una volta terminate le operazioni, le imprese hanno l’obbligo di finanziare il recupero dal punto di vista ambientale le aree interessate dalle escavazioni.
Insieme al Piano, la Provincia ha approvato (a favore il Pd, contrario il centro destra, astenuti Prc e Verdi) un documento dove si chiede, tra l’altro, di garantire agli enti locali «un giusto riconoscimento economico dell’impatto che le attività estrattive hanno sul territorio, superando la quota degli oneri oggi definita dalla legge che si presenta come assolutamente insufficiente».

Liberare Secchia e Panaro dai frantoi
Allontanare i frantoi da Secchia e Panaro per valorizzare e riqualificare le aste fluviali principali. E’ uno degli obiettivi principali del nuovo Piano provinciale delle attività estrattive della Provincia di Modena.
Attraverso la sottoscrizione di accordi con le imprese cavatrici, la Provincia prevede che nei prossimi anni sul Secchia rimarrà un solo un frantoio dei sei attuali, mentre sul Panaro ne rimarranno sei dei 13 attualmente attivi. I frantoi attualmente attivi nel modenese sono in tutto 33.
«La presenza di queste strutture lungo i fiumi – sottolinea Alberto Caldana, assessore provinciale all’Ambiente – è una eredità del passato che intendiamo progressivamente eliminare. I fiumi rappresentano una ricchezza naturale che dobbiamo valorizzare di più. E la presenza dei frantoi non è più compatibile con questa esigenza. L’operazione avviene con l’accordo dei proprietari che hanno dimostrato disponibilità e sensibilità verso questo problema».
I frantoi sul Panaro, soprattutto a Savignano e S.Cesario, saranno trasferiti progressivamente in aree lontano dal fiume negli stessi comuni e a Castelfranco Emilia.
I frantoi sul Secchia, in particolare i tre attivi a Sassuolo, traslocheranno nel polo estrattivo di Marzaglia.

Il rapporto sui controlli del 2007
Lo scorso anno le 64 cave presenti sul territorio modenese sono state controllate in media più di sei volte ciascuna e tre volte i 33 frantoi. Dai sopralluoghi, oltre 500 in un anno, eseguiti dai tecnici dell’ufficio Controlli cave intercomunale della Provincia di Modena, per conto dei 15 Comuni convenzionati, non sono emerse violazioni particolarmente gravi: nessuno scavo senza autorizzazione o fuori dai limiti prescritti, né danni ambientali gravi come l’intercettazione di falde acquifere. Tra le inosservanze più frequenti gli scavi non conformi a quanto previsto dal piano di coltivazione (sette casi sanzionati) e l’incompletezza delle recinzioni.
Come sottolinea Alberto Caldana, assessore provinciale all’Ambiente «abbiamo riscontrato, come del resto anni precedenti, il sostanziale rispetto della normativa, peraltro estremamente severa in un settore così delicato dal punto di vista ambientale e della sicurezza. Manteniamo quindi un controllo costante su questa attività anche allo scopo di instaurare con le imprese un rapporto costruttivo prevenendo eventuali irregolarità».
I tecnici provinciali controllano innanzitutto che le operazioni avvengano nel rigoroso delle norme sulla sicurezza degli addetti, delle autorizzazioni e delle norme di carattere amministrativo, dalla cartellonistica alla manutenzione delle reti di scolo.
Nell’ordine del giorno approvato dal Consiglio insieme al Piano si chiede alla Regione si rivedere la legge che regola il settore al fine di migliorare i controlli «attribuendo alle Province tutte le competenze sulle attività di controllo e sanzione».

Il dibattito in Consiglio
Il nuovo Piano delle attività estrattive della Provincia di Modena è stato adottato – come detto – mercoledì 25 giugno con il voto favorevole del Pd, quello contrario dei gruppi di opposizione e l’astensione di Prc e Verdi.
Aldo Imperiale, capogruppo di Prc, ha motivato l’astensione rilevando che il Piano, pur contenendo molti elementi negativi, il principale dei quali è che «ci sarebbero stati ampi margini per scendere al di sotto dei quantitativi previsti», presenta alcuni aspetti positivi come «la protezione delle falde acquifere e la chiusura dei frantoi». Per Walter Telleri (Verdi) invece «la questione più grave e negativa è che dare al Piano provinciale anche il valore di Piano comunale ci porta a un documento non modificabile relegandoci in un ruolo meramente notarile». Entrambi i consiglieri si sono detti «perplessi» in merito alle cave di monte. Giandomenico Tomei (Pd) ha replicato che «le cave di monte permettono ai comuni montani di reperire materiali sul territorio senza trasferirlo dalla pianura. Servirebbe più coerenza con le indicazioni date in altre circostanze».
Cesare Falzoni (An-Pdl) ha affermato che «decidendo dove permettere le escavazioni, la Provincia ha il fortissimo potere discrezionale di rendere qualcuno molto ricco». Enrichetta Annovi (Forza Italia–Pdl), sottolineando che «la Provincia si è ben guardata dal dire no alle richieste dei Comuni», ha chiesto di «migliorare i controlli sulle cave». Dello stesso parere anche Tomaso Tagliani (Popolari liberali-Pdl) che ha chiesto di «sorvegliare che gli scavatori asportino davvero solo quanto dichiarano». Ivano Mantovani (Pd) ha ritenuto «molto apprezzabile l’approccio non burocratico né accademico ma realistico del piano». Secondo Giorgio Barbieri (Lega nord) è «ridicolo chiedere maggiori controlli quando si sa che non ci sono le forze per effettuarli. La materia è politica: non serve dare multe, l’unica soluzione è strappare la licenza di chi commette illegalità». Per Dante Mazzi (Forza Italia-Pdl) il piano «cozza con altri obiettivi dichiarati dalla Provincia come lo sviluppo sostenibile e la tutela del territorio». Al contrario, secondo Demos Malavasi (Pd) il documento rappresenta «un punto di equilibrio tra la sostenibilità ambientale, i problemi che l’attività estrattiva comporta e il governo dell’attività economica legata al settore. I quantitativi si possono ridurre se c’è il consenso ed è importante a questo proposito – ha concluso il consigliere – la prevista verifica annuale del Consiglio».