Allo spazio Loft di FestaReggio Antonio Nicaso ha presentato il suo libro “‘Ndrangheta: le radici dell’odio”. Con lui, Maino Marchi deputato Pd e in commissione Antimafia e il giornalista del Fatto Quotidiano Enrico Fierro. Ha condotto la serata Nando Rinaldi dell’Esecutivo provinciale PD.

“L’ispirazione per questo volume – spiega Nicaso – nasce dalla strage di Duisburg in Germania, dove due famiglie della ‘Ndrangheta si contendevano il territorio”. Questo episodio ha reso la ‘Ndrangheta famosa e riconosciuta anche oltreoceano”. Nicaso prosegue insistendo sul fatto che questa organizzazione è stata per troppo tempo sottovalutata e quasi ignorata mentre la reale importanza è tutt’altra: “la ‘Ndrangheta ha il controllo totale del traffico della cocaina, è radicalizzata in tutto il mondo e ha a disposizione capitali enormi”. “La grande forza della ‘Ndrangheta sta nel saper coniugare alla perfezione il vecchio stile rispettando le tradizioni mafiose e il nuovo stile, quello che utilizza Internet e Skype come strumento per dialogare”. Infine Nicaso ha sottolineato come la ‘Ndrangheta e la mafia in generale non siano un problema solo del Sud ma di tutto il paese. “La mafia è anche qua da voi a Reggio Emilia solo che non la si vede..”. Enrico Fierro ha riassunto gli obiettivi della ‘Ndrangheta in “conquista di potere e accumulo di enormi capitali” e ha definito la Calabria “il buco nero dell’Italia, mentre regioni come la Campania e la Sicilia sono parzialmente controllate dalle mafie la Calabria lo è interamente”. Il giornalista se la prende con la politica calabrese rea “di non aver fatto nulla, nemmeno un’interrogazione sul neo presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti che in vari episodi certificati ha avuto contatti con esponenti mafiosi”. Fierro ha ribadito come la ‘Ndrangheta sia essenzialmente composta dalla borghesia del paese. “Non sono degli stupidi violenti ma liberi professionisti, funzionari dello stato, medici, architetti.” Infine Enrico Fierro ha evidenziato come siano “stati messi a segno molti colpi al sistema militare delle mafie mentre non è stata fatta neppure una carezza al rapporto tra mafia e politica”. L’onorevole Pd Maino Marchi ha definito la ‘Ndrangheta “la Mafia più potente e pericolosa del mondo, presente in tutti i continenti”. Marchi ha affermato che la lotta alle mafie “è da mettere al primo posto dell’agenda politica perché le infiltrazioni mafiose sono in continuo aumento e potrebbero rappresentare una seria minaccia per il futuro”. “L’attenzione dell’Emilia-Romagna in questi ultimi tempi si è rafforzata e la Regione ha la volontà di far nascere un osservatorio sulla Mafia e le sue sfumature”. Parlando poi delle battaglie parlamentari sul rapporto tra Mafia e politica Marchi ha sottolineato come si sia raggiunto qualche risultato come il caso Cosentino e le dimissioni di Di Girolamo. Marchi ribadisce che “le Mafie non si possono combattere solo dal punto di vista militare ma anche sul piano economico”. “Lotta per la legalità contro l’usura e l’evasione fiscale” ha dichiarato Marchi. Il deputato Pd vede un nesso fra la lenta crescita del paese in questi ultimi dieci anni e l’incidenza sempre più alta di infiltrazioni mafiose. “Un paese immerso nell’illegalità non può crescere”, ha concluso Marchi ribadendo il proprio impegno e quello del Pd nella lotta alle organizzazioni mafiose e in favore della legalità.

Anna Finocchiaro: Dal Pd occorre prova di responsabilità

«La nostra proposta per l’Italia deve andare oltre i ragionamenti sui cartelli elettorali e bisogna cercare di creare un incontro tra forze sociali per individuare delle priorità di programma. Occorre ragionare sulle disparità delle giovani generazioni, ad esempio, non sul toto-alleanze. Il nostro avversario non è Berlusconi, sono i mali ed i ritardi dell’Italia». Parola della capogruppo del Pd al Senato, Anna Finocchiaro, ospite nel pomeriggio di sabato di una gremita tenda dibattiti a Festa Reggio. Con lei, a dibattere di giustizia, politica ed istituzioni, la giornalista Antonella Cardone e Luisa Carbognani, dell’esecutivo provinciale dei Democratici. A parere della capogruppo a Palazzo Madama, «il Pd, come maggior partito di opposizione, è chiamato ad una grande prova di responsabilità, e deve riuscire a sfuggire a logiche di cooptazione per esprimere il meglio che ha». «Lo statuto dice che il segretario del partito è il candidato del Pd», e quindi, salvo diverse valutazioni, il candidato premier si chiama Pier Luigi Bersani. Secondo Finocchiaro, l’idea di elezioni anticipate è abbastanza plausibile, ma è altrettanto tangibile il timore «che si torni a votare con la stessa legge elettorale con cui è stato eletto questo Parlamento, di gente nominata, che deve dire solo sì al padrone, e non è in grado di dettare le linee al paese ». Condanna l’aggressione a Bonanni, ma riserva una staffilata alle posizioni in merito di Antonio Di Pietro: « Quando qualcuno come lui è ambiguo su questa partita, viene meno al proprio ruolo di dirigente». Tante sono le cose che, secondo la capogruppo democratica al Senato, non vanno in questo paese: «il welfare, la scuola, l’occupazione, le politiche per le famiglie, dove però le donne non siano aiutate a restare soltanto a casa, ma venga creata loro un’opportunità per lavorare e garantire un’esistenza dignitosa a lei ed alla sua famiglia. Ma rimettere in piedi l’Italia non può essere soltanto un lavoro per i partiti; è lo stesso popolo italiano che deve alzarsi in piedi». Sulla giustizia, per Finocchiaro occorre una vera riforma della giustizia, che risolva i piccoli grandi problemi dei cittadini comuni: « Per cause minori e sostanzialmente standardizzate, come quelle relative a condomini ed assicurazioni, può essere sufficiente l’operato di un giudice di pace o di una camera di conciliazione che giudichi secondo equità, lasciando ai giudici togati solo le cause di maggiore rilevanza. Poi dobbiamo finire di difendere la logica per cui ogni campanile deve avere il suo tribunale: meglio tribunali accorpati dove ci siano dei giudici specializzati. Sono cose importanti, di cui però Ghedini ed Alfano non parlano. Riformare la giustizia è prioritario, ma non per garantire se stessi». Sempre sul tema della giustizia, la capogruppo a Palazzo Madama attacca il premier: « I suoi legali sono stati i ministri ombra della giustizia: non crediamo alla favoletta della sua persecuzione. A dire il vero, questi avvocati tanto eccezionali poi non sono, perché di 18 provvedimenti praticamente non ne hanno azzeccato uno: basti pensare al lodo Alfano o al processo breve». Ultimo, ma non per importanza, un riferimento alla battaglia contro la violenza alle donne: «E’ un’emergenza assoluta, che deve essere affrontata con la vigilanza, senza se e senza ma, su questo problema, anche nei confronti di culture diverse». Finocchiaro torna sull’abolizione della rubrica curata da Michelle Hunzinker e Giulia Buongiorno sul settimanale Chi e dedicata appunto alla violenza sulle donne, abolita per decisione del direttore Alfonso Signorini, in quanto non consona alla linea di spensieratezza della rivista. «Sono due donne serie, che lavorano bene, utilizzando per questa causa anche la loro notorietà. Quindi l’abolizione di questa rubrica è una scelta non condivisibile. Penso che la motivazione debba essere trovata, visto che Signorini è uno dei grandi consiglieri di Berlusconi, nel fatto che, in questo caso, ha prevalso la regola della lievità. Ovvero, fate appassionare le donne alle vicende sentimentali dei calciatori, o delle attrici, così non penseranno ad altro. E’ un modo di proporre la realtà che disprezza l’intelligenza dei cittadini. E non credo proprio che il fatto che le donne continuino a morire sempre più spesso, quando tentano di affermare la propria personalità, e che gli uomini trovino l’unico modo per difendersi dalla libertà femminile e dal dolore nella violenza, possa essere sconfitti con le pagine patinate di una rivista».

Piero Fassino. Lavoro, crescita, diritti

Il rilancio della politica passa anche attraverso la rivalutazione della dignità del lavoro. Ed il Pd vuole rappresentare tutti i lavoratori, sia quelli dipendenti, sia quelli autonomi. E’ questa la sintesi del vivacissimo dibattito svoltosi ieri sera in una tenda dibattiti da tutto esaurito a Festa Reggio su «Lavoro, crescita e diritti». A discuterne, Piero Fassino, ultimo segretario Ds e Fulvio Fammoni, della segreteria confederale della Cgil, stimolati dalle domande del giornalista Stefano Morselli. Ha presieduto Luca Bosi, direttore di Festa Reggio, che ha voluto anche rivolgere un ringraziamento a dei lavoratori, ovvero ai 5mila volontari che hanno contribuito alla macchina organizzativa del Campovolo. «L’80% dei lavoratori italiani ha uno stipendio mensile netto che si aggira tra i mille100 e i mille300 euro, il 75% dei pensionati percepisce meno di 900 euro al mese. Il lavoro deve essere una grande questione prioritaria, e dobbiamo fare una grande battaglia culturale per restituire dignità e valore al lavoro, qualunque esso sia», ha detto Fassino. Che ha aggiunto: « Ho visto ricomparire solo recentemente, in uno spot pubblicitario, degli operai in tuta. Visto che di fatto è tutto un mondo che non compare sui mass-media, non c’è da stupirsi che, in una recente statistica, l’83% dei giovani abbia detto di non volere andare a lavorare in fabbrica». L’ex-numero uno dei Ds non si nasconde che, dalle lotte operaie alla Fiat della fine degli anni ’70, che videro una sconfitta della sinistra, è cambiato il mondo: c’è la globalizzazione, che vede il nostro paese penalizzato sotto il profilo dei costi, allora la contrattazione sindacale era programmata su base annuale, ora addirittura mensile. «Ricordo quel che diceva Aventino Pace, un sindacalista torinese ora scomparso: “Se un problema non lo risolvi tu, il padrone lo risolve per te”. Questo significa che è vero che l’accordo Fiat a Pomigliano d’Arco presenta delle condizioni meno favorevoli rispetto a quanto accadeva in precedenza, ad esempio la pausa mensa a fine turno, ma ci si deve chiedere se qualsiasi condizione acquisita sia difendibile in sé, di fronte ad un obiettivo più grande che è quello di difendere il lavoro». Fassino è realista: « Su Pomigliano, c’è stata una trattativa, che una parte del mondo sindacale ha fatto e che il referendum ha poi approvato. Ma non ci si può dimenticare che il 36% dei lavoratori, ed il 43% tra gli operai, ha votato contro. E che quindi un problema di consenso c’è». L’ex-segretario della Quercia attacca la politica economica di Berlusconi: «La crescita dell’Italia è dello 0.5%, praticamente un sesto della Germania. Ovvio che, di fronte a queste prospettive, il lavoro sarà sempre più precario: Tremonti ha tagliato ogni risorsa in materia di sviluppo, ricerca, scuola, formazione ed università. Da quattro mesi non c’è il ministro dello Sviluppo economico, e, mentre da mesi e mesi si discute solo dei problemi di Berlusconi e della maggioranza, il paese di fatto è sparito. Persino la presidente di Confindustria, che certo non è avversaria di questo governo, ha detto che nei cinque punti programmatici che dovrebbero essere votati entro il mese non c’è l’economia. Che ci sia la crisi lo dicono anche gli episodi drammatici come gli operai sui tetti, o gli artigiani suicidi: nessuno dovrebbe essere lasciato solo». Fulvio Fammoni non si nasconde che, per la Cgil, è uno dei momenti più delicati: unità sindacale a brandelli, 650mila persone in cassa integrazione, disoccupazione ai massimi livelli degli ultimi anni. « Il sindacato deve fare tutto ciò che può per difendere il lavoro: è una favola quella per cui la Cgil non faccia gli accordi. Ne ha fatti, e la maggior parte sono stati unitari. Noi siamo pronti a confrontarci su qualsiasi cosa, tranne su una: i diritti fondamentali dei lavoratori. Il valore del lavoro è un punto fondamentale per la ripresa del nostro paese». E, a suo parere, non è vero che tra Fiom e Cgil nazionali vi sia un fossato incolmabile: «Sono la stessa cosa, anche se su alcune questioni la pensiamo in modo diverso: si cerca sempre un punto di sintesi, ed ora questo è che la manifestazione del 16 ottobre prossimo della Fiom sarà di tutta la Cgil». Secondo Fammoni, «occorre una legge sulla rappresentanza sindacale. Dubito che questo, che è uno dei peggiori governi che abbiamo mai avuto in tema di politiche del lavoro, possa mai non solo votarla, ma neppure discuterla. Nel passaggio tra la legge 30 e il nuovo statuto dei lavoratori, ci stanno tante misure che angariano il lavoro, ad esempio le clausole derogatorie. Eppure il lavoro dipendente continua a dare consenso al centrodestra. Il che significa che si è scavato nel profondo dal punto di vista culturale. Non siamo stati in grado di combattere questa teoria dell’individualismo». C’è poi il problema della sicurezza sul lavoro, « che è una situazione indegna di un paese civile» e, appunto, l’endemica mancanza di una politica concreta del governo sull’occupazione e sull’economia. « Ci stanno vendendo la bufala del ponte sullo stretto di Messina, con 8 miliardi di euro immobilizzati per quell’opera. Se davvero questi fondi ci sono, meglio devolverli per sistemare il patrimonio scolastico fatiscente. In Italia, in aggiunta, non è stato fatto nulla perché si considerasse maggiormente favorevole investire in produzione piuttosto che in finanza. Su questi temi non c’è una divisione sindacale, ma il silenzio assordante delle associazioni di impresa». Non poteva mancare, da parte di Fassino, un accenno all’attualità politica. Rispondendo indirettamente ad una lettera apparsa sull’edizione di sabato dell’Unità e rivolta a lui sulla vicenda dei fischi al presidente del Senato Renato Schifani, ospite della festa nazionale del Pd a Torino, « pare che questa nota parta dal presupposto che Schifani sia un mafioso, ma per ora non c’è nessuna sentenza della magistratura che lo dica. Le feste di partito sono luoghi in cui si discute di politica, per problematiche relative alla giustizia ci sono i tribunali, ed i processi non li può fare la piazza. Non sottovalutiamo quello che è accaduto, perché in tre giorni siamo passati dai fischi al presidente del Senato, prima ancora di lasciarlo parlare, al lacrimogeno contro Bonanni». Buona parte del clima incandescente nel paese è però, per Fassino, colpa del centrodestra: « Ha imbarbarito il dibattito politico. Penso alle campagne de Il Giornale: mi vergogno, è uno strumento di aggressione». Quindi, tanti buoni motivi per mandare a casa Berlusconi. «Se si torna a votare, lo si faccia possibilmente non con questa legge elettorale, che, alla luce dei raggruppamenti elettorali che si presenteranno (dai 4 ai sei), rischia di dare il 55% dei seggi a chi abbia, ad esempio, il 35% dei voti».