Intervengo nella discussione che si è aperta tra PD e FIOM in ordine alla manifestazione del 16 ottobre della FIOM-CGIL a Roma con specifico riferimento alla nota di Giordano Fiorani e alla risposta di Davide Baruffi, rispettivamente segr.gen. FIOM-MO e segr.prov. PD-MO.

Il punto non è l’adesione o meno di un partito politico ad una manifestazione sindacale, il punto è sapere cosa si pensa – nella fattispecie da parte del PD – a proposito del merito sul quale i sindacati si sono divisi. Stiamo ai fatti: i sindacati confederali si sono divisi sulla firma o meno all’accordo inerente il nuovo sistema contrattuale (gennaio 2009); gli oggetti centrali del contendere erano almeno due: la questione della democrazia intesa come diritto di pronunciamento delle lavoratrici e dei lavoratori in occasione dei rinnovi contrattuali; e la questione della derogabilità di moltissime materie oggi regolate nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Fin troppo ovvio è rilevare che queste modifiche portano allo svuotamento del sistema contrattuale attuale imperniato sulla contrattazione collettiva. Se si svuota il CCNL viene meno il cemento unitario per definizione tra le lavoratrici ed i lavoratori, rappresentato, almeno a livello di categoria, da uno strumento che regola per tutti e tutte le condizioni di lavoro ed i diritti nei posti di lavoro.

Qui entra in scena la crisi economica e la sacrosanta lotta dei lavoratori e delle lavoratrici per affermare che non si è più competitivi se si contraggono i diritti e se si mette in campo il ricatto occupazionale; basta pensare a quanti diritti devo togliere per avere condizioni normative e salariali pari a quelle dei Paesi in cui si può pensare di fare investimenti in alternativa a quelli che si possono fare in Italia. Ma non solo: se la variabile dipendente dalla competitività è rappresentata, essenzialmente, dai fattori che compongono il costo del lavoro, allora è chiaro che il lavoro (e con esso coloro che lo rendono vivo, le lavoratrici ed i lavoratori) diventa una merce e non più un diritto e un bene comune al pari degli altri fattori della produzione.

Inoltre la FIOM e la CGIL ponendo il vincolo della integrità del CCNL, spingono – per trovare le risposte che consentano un’uscita giusta e degna dalla crisi – in ben altre direzioni tra le quali l’obiettivo di una maggiore competitività di sistema sul lato delle infrastrutture, della ricerca, della formazione, dei servizi all’impresa, dell’abbattimento della burocrazia, dell’innovazione di prodotto e di processo, degli investimenti di qualità, per ottenere un assetto duraturo e in sviluppo, in alternativa a quello – variabile al ribasso – dei trattamenti normativi e salariali che come il gioco dell’oca ti riportano sempre al punto di partenza.

Serve poi sviluppare una riflessione – e mi rivolgo a tutti coloro che ogni giorno predicano su come e cosa debba fare il sindacato a proposito del tipo di lavoratrice e di lavoratore che servirebbe alla competizione globale – circa il tipo di impresa più adatto a giocare la partita sullo stesso terreno.

Se il presupposto è – verifichiamolo – l’innovazione, l’impresa più adatta sarà quella che effettua investimenti soprattutto in ricerca e formazione a tutti i livelli e che sul versante dei rapporti di lavoro – all’opposto della precarizzazione – cerca la stabilizzazione e la valorizzazione, al limite la fidelizzazione, dei dipendenti.

Se così è, la vera risposta ai problemi dell’unità sindacale deve partire da una riflessione circa il ruolo e la funzione del lavoro nelle trasformazioni del nostro tempo, e – in una fase caratterizzata da crisi strutturale – si dovrebbe cercare di mettere in campo un sistema di democrazia economica ed industriale – non alternativa al sistema contrattuale – capace di esprimere conseguenti proposte di politica economica ed industriale per recuperare competitività duratura e di sistema.

A Modena, per anni sono stato orgoglioso di potere dire che nei momenti difficili siamo riusciti a mettere in campo soluzioni geniali con il concorso di tutti e tutte (penso ai villaggi artigiani degli anni ‘50 oppure ai distretti industriali degli anni ’80); si può, quindi, entrare nell’ottica di produrre innovazione territoriale sostenibile e di qualità a partire dalla scelta di un sistema di democrazia economica che implementi i comportamenti delle parti sociali ed anche i comportamenti dei decisori politici. Se non qui, dove?

A me pare che l’attuale scontro tra la FIOM e la CGIL da un lato e Federmeccanica e Confindustria dall’altro, sia incentrato intorno al tipo di sindacato auspicabile nel futuro e nel contesto di globalizzazione; bene, il sistema delle deroghe porta, inevitabilmente, al sindacato di tipo aziendalistico in luogo del sindacato confederale, al frastagliamento ed alla frammentazione in luogo dell’unità dei lavoratori e delle lavoratrici, all’allentamento della coesione sociale in luogo dello sviluppo della coesione e della comunità stessa, verso una deriva di omologazione ai paesi meno sviluppati piuttosto che verso il consolidamento dell’Italia nel cuore dell’Europa.

(Gianni Ballista)