Il peso della nuova manovra del Governo sui Comuni reggiani è di 29 milioni di euro nel 2011 e 38 milioni di euro dal 2012 al 2014. Il Patto di stabilità blocca complessivamente 37 milioni di euro di investimenti nell’anno in corso e altri 81 milioni dal 2012 al 2014. Dati che suonano come un de profundis per autonomie locali, sviluppo, servizi sociali e fasce più fragili della popolazione.

Per chiedere una correzione equa della manovra, i sindaci reggiani e le associazioni (Anci e Legautonomie) si mobilitano con nuove iniziative di sensibilizzazione dei cittadini, a cominciare dal volantinaggio e dall’incontro con le persone oggi in piazza Prampolini, a Reggio Emilia.

La manovra significa tagli su tagli. Misure non sostenibili che portano a colpire le fasce più deboli, a chiudere i servizi sociali (dopo aver tagliato cultura e scuola nel Reggiano), a ledere diritti costituzionali, a minare lo stesso Stato democratico nei suoi organismi locali.

Una manovra che a Reggio e provincia significa un’ulteriore riduzione della capacità di spesa nel periodo 2012-2014 di 38 milioni (30,5 di peggioramento delle condizioni del Patto di stabilità interno e 7,5 tagli di trasferimenti) rispetto al 2011. Una manovra che si aggiunge ai 29 milioni di euro del 2011 rispetto al 2010 (18,7 sul Patto di stabilità e 11,3 di tagli). A questo vanno aggiunte le opere già finanziate, ma bloccate dal Patto: si stimano 37 milioni di pagamenti bloccati dal Patto nel solo 2011 e un totale, per il periodo 2011-2014, di 118 milioni di residui passivi (al netto degli attivi).

Una manovra che accentua le disuguaglianze. Si sottraggono risorse ai servizi sociali e agli enti locali in generale per finanziare una riforma fiscale, che va in direzione opposta alla necessità di contrastare le crescenti disuguaglianze economiche e sociali e all’utilizzo della leva fiscale per un’efficace azione redistributiva, omettendo ogni riferimento alla garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, prescritti in Costituzione e nella stessa legge n. 42 istitutiva del federalismo fiscale. Ciò farà aumentare ulteriormente la pressione sugli enti locali a fronte di una scelta che, nei fatti, assegna le priorità finanziarie ai soggetti che operano nel mercato sociale.

Una manovra che azzera il federalismo. Per le autonomie locali e regionali le misure previste sono molto pesanti: la manovra, che si colloca in una linea di sostanziale continuità di metodo e di merito con la politica economica centralista degli ultimi anni, è di una portata tale da far saltare il federalismo fiscale e le basi strutturali stesse del processo di riforma, come sottolineato nelle sedi istituzionali, quale la Conferenza Stato-Regioni-Autonomie locali, dal sindaco Graziano Delrio, vicepresidente nazionale dell’Anci.

Regionalizzazione e revisione del Patto. Si prevede dal 2012 la possibilità di una regionalizzazione del Patto di stabilità interno, finora consentita alle sole Regioni speciali e Province autonome, andando incontro alle richieste della Regione Emilia Romagna che già a fine 2010 aveva approvato un innovativa legge regionale sul Patto di stabilità territoriale, che finora non ha avuto applicazione per le rigidità della normativa statale. Le Regioni, quindi, assumeranno un autentico ruolo di coordinamento della finanza locale. La regionalizzazione del Patto di stabilità è, in linea di principio, un positivo passo in avanti anche se, senza un alleggerimento degli obiettivi di patto per il comparto Regioni-Enti locali (è previsto addirittura un peggioramento nel 2013-2014 a livello nazionale di 2 miliardi per i Comuni e di 1,6 miliardi per le Regioni ordinarie) ed una maggiore flessibilità di applicazione (termini ora troppo rigidi per comunicare rimodulazioni, obiettivi, conferma delle sanzioni per singolo ente), si rischia di vanificare gran parte delle potenzialità della nuova previsione normativa.

Un’ulteriore novità riguarda la riformulazione (a decorrere dal 2013) del Patto di stabilità e la definizione della griglia di criteri sulla base dei quali sarà misurata la maggiore o minor virtuosità di Regioni ed Enti locali e pesata la misura del rispettivo concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica.

La revisione del Patto di stabilità andrebbe anticipata al 2012, così come previsto per la sua regionalizzazione. In secondo luogo, manca la necessaria chiarezza attorno agli obiettivi che ci si vuole prefiggere con questa revisione.

Da un lato sono stati elaborati criteri di virtuosità troppo complessi e discrezionali (si rinvia l’attuazione concreta a decreti ministeriali), senza alcun coinvolgimento dei Comuni, che probabilmente provocheranno effetti opposti agli obiettivi prefissati.

Dall’altro, si premiano alcuni enti facendone però ricadere l’onere sugli altri enti locali, addirittura aumentando il peso del Patto nel suo complesso di 2 miliardi. Questo è inaccettabile in quanto con il “paravento” della virtuosità si vuole fare passare un ulteriore manovra a carico del sistema dei Comuni italiani, che negli ultimi anni hanno contribuito al risanamento dei conti pubblici più degli altri comparti che compongono la Pubblica amministrazione, migliorando i saldi di finanza pubblica in modo sensibile (3 miliardi di euro) e dimostrandosi efficienti offrendo ai cittadini e alle famiglie un sostegno sociale in un momento di forte disagio, aumentando la spesa sociale e razionalizzando la spesa improduttiva.

I sindaci chiedono pertanto:

– di individuare parametri di virtuosità, insieme alle associazioni delle Autonomie, che tengano conto dei due parametri rilevanti per il Patto di stabilità europeo, ossia il miglioramento del saldo di bilancio (equilibrio tra entrate e spese proprie) e del livello di indebitamento (debito in essere);

– un reale alleggerimento del Patto, che risponda anche alle esigenze di crescita e di sviluppo sostenibile dei territori senza imporre a carico del sistema dei Comuni il miglioramento previsto per i Comuni virtuosi.

Necessaria un’immediata contrattazione per correggere le iniquità. I sindaci ritengono che sia necessaria, in assenza di una seria ripresa della concertazione tra i livelli costituzionali della Repubblica, una mobilitazione unitaria dell’intero sistema delle Autonomie al fine di correggere una manovra che, sebbene necessaria nei suoi obiettivi complessivi di rientro dal deficit pubblico, fallisce completamente l’obiettivo di coniugare rigore e sviluppo e compromette alla radice l’attuazione del federalismo fiscale.