preghiera_viacavourSala di preghiera di via Cavour : una storia importante nata male. L’assenza sostanziale delle istituzioni e l’incapacità della giunta Caselli. Gli errori dei dirigenti della comunità musulmana.  Voltare pagina.

Un’indispensabile premessa : il diritto alla libertà religiosa è un diritto tutelato dalla Costituzione e da numerosi patti internazionali ratificati dall’Italia. Su questo non sono ammesse discussioni. Tuttavia, per esercitare questo diritto, è necessario avere la disponibilità di edifici da adibire a tale scopo e rispettare la regolamentazione urbanistica .  La disciplina riguardante la costruzione o ristrutturazione di edifici di culto è di esclusiva competenza dei Comuni, i quali dovrebbero obbligatoriamente prevedere  in sede di pianificazione urbanistica  (Legge n.847/1967, L. n.10/1977, DM n.1444/1968) aree per le “attrezzature di interesse comune religioso”.  Le discussioni e i conflitti , come quello interessante via Cavour, si sono in Italia quasi sempre manifestati perché la maggioranza delle oltre 800 sale di preghiera “non santificate” (musalla, in arabo) oggi esistenti,  sono state collocate in zone residenziali in edifici inadatti, urbanisticamente, ad ospitare centinaia di persone: capannoni, scantinati, magazzini, retrobotteghe, appartamenti privati. Le comunità locali musulmane , di solito, presentano una DIA (denuncia inizio attività) per comunicare la trasformazione dei locali in centro culturale da adibire in realtà a luogo di preghiera. Con la conseguenza – se le istituzioni non intervengono con lungimiranza e tempestività – di provocare inevitabili conflitti con la popolazione locale, dato che la presenza di centinaia di persone nel luogo di culto così improvvisato altera la vita del quartiere (soprattutto per l’inadeguatezza delle strade e dei parcheggi). Il Giudice Amministrativo italiano è giunto ad affermare due principi generali sul tema (Sentenza Consiglio di Stato n.8298/2010) : A) “è dovere dei  Comuni individuare aree idonee a permettere a tutte le confessioni religiose di svolgere la loro attività e dare ascolto alle eventuali richiesta in tal senso”, B) “anche il diritto di culto, come ogni diritto, è collegato al rispetto di doveri giuridici prescritti dalla Legge; di conseguenza il diritto di culto deve esercitarsi nel tassativo rispetto della normativa urbanistica “.   La vicenda di Via Cavour ha riproposto fedelmente le dinamiche prima esaminate.   I comuni (non solo di Sassuolo – anche se Sassuolo ha responsabilità prevalenti – ma di quelli della zona perché qui si parla di un problema che dovrebbe esser affrontato come Unione di Comuni )  non hanno sinora assolto il loro duplice dovere di: > favorire in ogni modo possibile il soddisfacimento del diritto di libertà religiosa e > individuare, nell’ambito della pianificazione urbanistica del territorio, aree all’interno delle quali ospitare anche luoghi di culto (essendo scontato che le somme necessarie a costruire ex novo oppure a ristrutturare un edificio dismesso – chiedendo ed ottenendo la certificazione di agibilità – saranno poi a carico esclusivo della comunità religiosa in questione).  La Giunta Caselli/Menani –  prigioniera com’è di un’ideologia che nega il principio “pari diritti pari doveri” – si è rivelata del tutto incapace di affrontare il problema in modo costruttivo e con la reale volontà di risolverlo. A queste mancanze dei poteri pubblici ,  si sono sommati gli errori dei dirigenti della comunità musulmana di via Cavour.  I quali hanno basato la loro giusta richiesta di disporre di un luogo da adibire all’esercizio del loro culto (col carico urbanistico conseguente di parcheggi, viabilità, sicurezza antincendio, ecc. che esso determina) sull’idea secondo cui sarebbe possibile e giusto cambiare destinazione d’uso ad una costruzione collocata in zona residenziale – senza la necessaria certificazione di agibilitàL’idea è del tutto sbagliata e farebbe bene la comunità musulmana locale a non insistere per questa soluzione, che non ha futuro.  Il Consiglio di Stato, con la sentenza che ha rigettato il ricorso in appello proposto dall’associazione islamica di via Cavour, esattamente questo ha detto: un conto è il diritto costituzionalmente garantito di esercitare il proprio culto, altro sono le condizioni, che devono essere conformi alla legislazione urbanistica/edilizia, per poterlo esercitare.  Il principio ovviamente  vale per tutti , musulmani, cristiani, induisti, ecc. Cosa fare ora, stando così le cose? La prima responsabilità spetta alla politica ed alle istituzioni. Si dovrebbe tentare (con la regia dei Comuni, con l’aiuto delle strutture locali della Chiesa cattolica e/o di Confindustria ceramica , visti i tanti stabilimenti/capannoni vuoti che ben si presterebbero allo scopo) di reperire in tempi brevi una sede provvisoria dignitosa, in area non residenziale, per l’esercizio del culto da parte della comunità musulmana (che non sarebbe costretta a pregare all’aperto). Individuando poi  nel tempo più rapido possibile , da parte del Comune di Sassuolo (e/o dei Comuni della zona) un’area idonea ad accogliere, in accordo con la comunità musulmana , la sede definitiva (i cui costi saranno a carico della stessa comunità). E’ il momento di voltare pagina e di non cedere più, da parte del centro sinistra e dei prossimi candidati a sindaco di Sassuolo, a timori elettoralistici ( pur comprensibili). Sappiamo che non è semplice ma questa è la via maestra per  realizzare contemporaneamente un innegabile diritto di libertà e una buona convivenza.

Mauro Sentimenti   (Associazione “Le ragioni del Socialismo”)

Rino Fornaciari  (SeL Sassuolo)

Fabio Cervi, Massimo Dragonetti, Giancarlo Iaccheri  (Terra,Pace,Libertà)