Foto: Enrico Alessandro Rossi

“C’è un tema che ricorre in ogni occasione come questa, quello su come attualizzare oggi quel sacrifico di don Pasquino Borghi, Ferruccio Battini, Romeo Benassi, Umberto Dodi, Dario Gaiti, Destino Giovannetti, Enrico Menozzi, Contardo Trentini ed Enrico Zambonini , a distanza di 75 anni. Qual è il compito delle istituzioni repubblicane e democratiche, che sono giunte a noi grazie al sacrificio dei tanti martiri, tra cui gli stessi che oggi ricordiamo? Il lascito di quel sacrifico fu la democrazia, che ha prodotto innanzitutto 70 anni di pace, e questo dovremmo ricordarcelo più spesso: le nuove generazioni non hanno memoria di cosa siano stati i tempi di guerra, perché abbiamo la fortuna di vivere in un tempo di pace, ma non dobbiamo dimenticare che quella fortuna l’abbiamo avuta grazie al sacrificio di tanti”.

Lo ha detto il vicesindaco di Reggio Emilia, Matteo Sassi, intervenuto oggi pomeriggio al Poligono di Reggio Emilia, dove si è svolto il primo degli incontri odierni di commemorazione dei martiri antifascisti dell’eccidio del 30 gennaio 1944.

“La pace – ha proseguito il vicesindaco Sassi – è la prima condizione per portare convivenza pacifica e benessere, e questo ci raccontano i 70 anni di pace che ci lasciamo alle spalle, così come la bandiera della Pace e quella dell’Unione Europea che oggi qui sono esposte.

“Settanta anni fa l’Europa era un territorio distrutto, dove ciascuna famiglia piangeva un lutto o un dolore, non è retorica ricordarcelo, è invece un dovere civile, democratico e istituzionale, e mi preoccupa il fatto che poco si discuta di questo. Oggi vediamo come vengano messe in discussione istituzioni fondamentali, proprio come l’Unione Europea, per salvaguardare la pace nel nostro continente.

“Dobbiamo ricordare con rigore i fatti storici accaduti, lontano da ogni forma di revisionismo: un conto è la storia, un conto è la memoria.

“Ognuno ha la propria memoria, ed è anche giusto così, ma la storia è altra cosa e non può essere cambiata, ignorata o violentata. I fatti storici sono realmente accaduti, quello che qui accadde il 30 gennaio del 1944, con la fucilazione dei Martiri che oggi commemoriamo, è realmente accaduto. E’ un fatto che tutti loro furono torturati e seviziati nei giorni precedenti a una sentenza che fu posticcia, fallace, quella emessa dal Tribunale speciale che li condannò a morte, perché fu attivato dal presidente della Provincia di allora, Savorgnani, che aveva sete di vendetta; perché c’era una guerra anche civile in corso; e c’era una parte che non accettava il principio per cui in una guerra ci sono vittime, caduti, lutti… E quindi doveva scattare la rappresaglia.

“Noi abbiamo sempre detto in ogni contesto che la pietà vale per tutti i morti, e ci mancherebbe, ma c’è una distinzione di fondo – ha sottolineato il vicesindaco Sassi – quando parliamo dei fatti, tra chi stava dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata, tra chi stava dalla parte della giustizia e chi della dittatura, dell’alleanza con il nazismo.

“Panitteri e d’Ottone, i due membri del Tribunale speciale che condannarono a morte don Pasquino Borghi e tutti gli altri Martiri, furono processati democraticamente al tempo della Repubblica e addirittura amnistiati nel 1948, per cui non scontarono neppure la pena loro inflitta. Perché vi fu uno stato di diritto, perché si riportò al centro il valore della convivenza civile e democratica.

“Per questo ci dobbiamo ricordare che non si può mettere sullo stesso piano chi stava dalla parte giusta con chi stava da quella sbagliata.

“Penso che queste storie siano davvero straordinarie: sono tanto straordinarie quanto sconosciute, spesso, a partire dalle nostre stesse comunità. Commetteremmo un gravissimo errore se le dessimo per assodate da tutti, se ritenessimo che la storia dei Martiri che commemoriamo oggi fosse largamente conosciuta e condivisa. Non è così. Ecco perché raccontare quelle storie, recuperare le parole di quel tempo ha un grande valore. Voglio perciò ricordare quanto diceva don Pasquino Borghi, di nome partigiano Albertario: ‘Metti gli altri prima di te, distacca il tuo cuore dalle cose di quaggiù, dando generosamente, a chi domanda, tutto quello che puoi; servi prima il tuo prossimo e poi te stesso’.

“Ancora più straordinarie, di una straordinaria naturalezza e quasi sconcertanti nel loro essere attuali, ho trovato le parole di Orsola del Rio Borghi, madre di don Pasquino: ‘Dicono che è stato partigiano, è vero, ma lui è sempre stato partigiano del bene e della carità e resistente all’ ingiustizia e alla violenza. Quello che ha fatto, lo ha fatto perché era abituato in famiglia alla bontà e alla carità, a Tapignola ha continuato a fare quanto aveva fatto in Africa dando agli altri bene e carità’.

“Credo si tratti di due passaggi attualissimi – ha aggiunto il vicesindaco – Il primo, quando dice che don Pasquino era abituato in famiglia al bene e alla carità: siamo esseri abitudinari, la nostra specie è una specie abitudinaria, per l’essere umano l’abitudine è molto rilevante e per questo mi inquieta la consuetudine con cui oggi si utilizzano tantissime parole apertamente violente e intolleranti, razziste e xenofobe, e al fondo violente. La parola prima poi diventa qualcos’altro; il nostro linguaggio è il nostro pensiero, e prima e poi, se usiamo un linguaggio povero e miserevole, agiremo di conseguenza. Allo stesso modo in cui, viceversa, don Pasquino era abituato al bene e all’accoglienza, per cui era normale per lui accogliere nella sua canonica militari italiani e stranieri, che erano scappati dal fronte e dalle guerre.

Temo che ci stiamo abituando ad un altro modo di agire.

“Il suo essere stato partigiano e resistente voleva dire proprio questo: non essere un uomo di una parte armato contro un’altra parte, ma un partigiano del bene e della carità: per questo è andato a morire, ha accetto torture e sevizie senza delazione, senza un tentativo per salvare se stesso affossando qualcun altro, con il coraggio dei giusti, di chi sa che sta dalla parte giusta e ci starà con un certo stile, un decoro e una forza, fino alla fine.

“Di fronte a questo, noi dobbiamo evitare le scorciatoie retoriche, in ogni consesso e occasione, soprattutto in queste occasioni, e al contempo riuscire ad attualizzare valori, principi e vissuti. Ed io non posso, nella mia veste di amministratore pubblico e vicesindaco di una città Medaglia d’oro della Resistenza, non ricordare quanto sta avvenendo nel mio Paese in questi giorni, in queste ore, perché c’è chi purtroppo rappresenta le istituzioni repubblicane in modo differente.

“Non ci sono retoriche, non ci sono parallelismi forzati, ma – ha detto Sassi – quando accade che dei bambini, dalla sera alla mattina, vengono portati via dalle loro classi, a Castelnuovo di Porto nel Lazio, perché così ha deciso il ministro degli Interni, con quelle maestre che non sanno come spiegare ai loro alunni perché i loro amici non ci sono più e che non sanno dove siano stati portati, io non posso non indignarmi e non posso non dire che non sono un uomo di parte in questo mio tempo: la mia parte è quella della Costituzione, del sacrificio di tanti che ci hanno consegnato 70 anni di pace. Abbiamo da poco ricordato quanto accadde nel 1938, con l’infamia delle leggi razziali: allora erano gli ebrei, oggi gli stranieri, anche allora si dicevano le stesse cose che si sentono dire oggi.

“Oggi non abbiamo le leggi razziali – ha concluso il vicesindaco Sassi – in qualche cassetto della Camera o del Senato, però c’è qualcosa più subdolo, per cui non hai bisogno di una legge razziale per strappare a una classe quel minore e dirgli che lui non è in fondo un cittadino come altri. A tutto questo bisognerà rispondere in qualche modo, un modo democratico, civile, nonviolento, ma fermo. Come fece allora don Pasquino, bisognerà essere resistenti all’ingiustizia, non possiamo rimanere indifferenti. Odio gli indifferenti, diceva Antonio Gramsci, perché gli indifferenti sono complici, non prendono parte nel senso positivo dell’essere di parte. E dunque, penso che il cuore partigiano, di chi allora fu partigiano in nel modo che ho descritto ora, ci dica: ‘Non rimante indifferenti, siate partigiani del vostro tempo, con quegli strumenti che 70 anni di democrazia vi hanno consegnato’”.

E’ poi intervenuto Ermete Fiaccadori, presidente dell’Anpi a nome delle associazioni partigiane. Gli incontri successivi di stasera sono nella sagrestia della chiesa di San Pellegrino intorno alle ore 17, dove verrà esposto il cappotto indossato da don Pasquino Borghi al momento della fucilazione – nel tessuto i fori dei proiettili e tracce del sangue versato – e dove è previsto un intervento di Massimo Storchi di Istoreco. A seguire, alle ore 18, nella chiesa di San Pellegrino don Giuseppe Dossetti celebrerà una messa in suffragio dei Caduti. Nel corso della giornata è stata deposta una corona presso la lapide in vicolo dei Servi, collocata sul retro dell’Ostello della Ghiara, nelle cui adiacenze sorgeva il luogo di detenzione fascista dove furono rinchiusi i martiri prima dell’esecuzione.

Il programma di iniziative di oggi è stato promosso da Comune di Reggio Emilia, Provincia, associazioni partigiane Anpi, Alpi, Apc, Anppia, Comitato democratico costituzionale, Istituto Alcide Cervi, Istoreco e Ufficio scolastico di Reggio Emilia.

Foto: Enrico Alessandro Rossi