“I casi esposti dagli organi d’informazioni sulle crisi aziendali rappresentano solo la punta dell’iceberg. La realtà è molto più preoccupante, soprattutto per le imprese della filiera meccanica, con particolare riferimento alla subfornitura. Non ho la pretesa di dare dati ufficiali, ma con gli ordini in flessione dal 40 al 70% tra un paio di mesi le chiusure – e parlo di chiusure totali, di fallimenti e di liquidazioni – potrebbero coinvolgere fino al 15% delle aziende del settore. In provincia stiamo parlando di 4.000 imprese, cioè parliamo di 600 imprese che corrispondono a 4.000, 5.000 disoccupati potenziali tra lavoratori e imprenditori. E si tratta di un dato che peggiora settimana dopo settimana. Occorre che il mondo dell’economia, della politica e della finanza prendano coscienza di questa situazione, più grave per la nostra realtà che per altre”. E’ l’allarmata denuncia di Luigi Mai, presidente della Cna Provinciale, che addossa una particolare responsabilità alle banche.


“Ci avevano raccontato che con Basilea2 il credito sarebbe stato erogato più facilmente. Invece succede che le banche chiedano alle imprese di rientrare magari solo leggendo un articolo sulla stampa, un parametro che non ci pare rientri nelle valutazioni di rating. Sentiamo eminenti banchieri che dicono testualmente “che il territorio ha utilizzato solo il 30% delle somme stanziate per gli investimenti”. Evidentemente le banche non si sono accorte che non è un problema di investimenti: la liquidità serve a pagare i lavoratori, a pagare le imposte – a giugno e luglio ci troveremo, infatti, a dover pagare tasse senza avere redditi – le bollette. Perché di investire, a macchinari fermi, non ci pensa nessuno”.
Una prova provata nella riduzione degli investimenti alle piccole imprese sta nel calo tendenziale dell’8%, nel terzo trimestre 2008, degli impieghi bancari alle famiglie produttrici (stime BankItalia).
“Così come alle banche si potrebbe spiegare che il piccolo imprenditore, l’artigiano, per pagare il suo debito bancario è disposto a vendere il secondo appartamento, a fare qualsiasi sacrificio. Le società di capitali fanno lo stesso?”
“Se le banche – continua Mai – vogliono fare qualcosa per il territorio questo è il momento. E se la politica vuole dare il suo contributo non si limiti ad organizzare tavoli, ma si faccia portare dati che, invece, gli istituti di credito non ufficializzano, alla faccia della trasparenza invece invocata agli imprenditori. Qual è l’andamento dei finanziamenti erogati? Perché gli spread aumentano, nonostante il costo del denaro sia in continuo ribasso. Perché vengono fatti pagare agli utenti obblighi di legge come l’invio del documento di trasparenza bancaria? Perché sopravvivono istituti arcaici e vessatori come la commissione di massimo scoperto?”.
“La colpa di questa crisi non ce l’ha il Governo, non ce l’hanno i comuni (le banche magari sì!), però entrambi possono fare qualcosa per cercare di mitigarne gli effetti. Lo Stato, ad esempio, potrebbe pensare alla rateizzazione delle imposte senza interessi, a consentire la deducibilità degli interessi passivi, a stanziare davvero – non a prometterlo e basta – fondi a sostegno delle cooperative di garanzia fidi, a costringere le banche a sostenere le imprese. I comuni possono anch’essi sostenere i consorzi fidi – e stupisce che alcuni municipi non l’abbiano fatto – a implementare piccoli cantieri più facilmente appaltabili ad imprese locali”.
“I margini per interventi macroeconomici, nell’economia della globalizzazione sono ridotti. Ma i modi per cercare di arginare i colpi della crisi ci sono. Ad avere in mano il pallino oggi sono soprattutto le banche. Serve che queste smettano di considerare le aziende, le persone, come dei semplici numeri su un foglio excel. Perché se succede qualcosa di irreparabile per il nostro sistema economico e sociale, gran parte della responsabilità peserà sulle loro coscienze”.