Chi è afflitto gravemente dalla depressione non può vedersi togliere dall’Inps l’assegno di
invalidità – per la diminuita capacità lavorativa e di
guadagno – quando le sue condizioni di salute sono uguali a quelle accertate, dalla consulenza medica, al tempo in cui il beneficio economico gli è stato riconosciuto. Lo sottolinea la Sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza 12256.


Con questa decisione la Suprema Corte ha accolto il ricorso di una lavoratrice siciliana, Angela D., alla quale l’Inps aveva riconosciuto l’assegno di invalidità per gli anni dall’82 all’86 in relazione alla sindrome ansioso-depressiva che l’aveva colpita. Dopo aver goduto dell’assegno per quattro anni, la
donna s’era vista revocare il sostegno e aveva fatto ricorso alla magistratura.

In poche parole, secondo la Cassazione, quando la depressione continua a perseguitare un lavoratore, l’assegno di invalidità, dato al malato dall’Inps, non può essere revocato quando la malattia permane nella stessa proporzione accertata dalla
consulenza medica in base alla quale era stata concessa l’erogazione dell’assegno mensile per la diminuita capacità di lavoro.

”Accertando il diritto all’assegno ordinario di invalidità – scrivono gli ermellini – si accerta l’esistenza dei presupposti di legge per lo stato invalidante, nonchè la
connessione causale tra questi presupposti e il riconosciuto diritto.

Per accertare la permanenza della depressione, osserva ancora la Sezione Lavoro, ”il giudice deve effettuare necessariamente il raffronto tra la situazione patologica esistente al tempo della revoca e la situazione patologica esistente al tempo del riconoscimento dell’invalidità ”.