Uno studio, coordinato dalla prof. ssa Rossella Tupler dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, in collaborazione con fisiologi e neurologi dell’Università Statale di Milano e dell’Università di Pavia, apre interessanti prospettive sulla conoscenza della distrofia muscolare.

La terza più diffusa forma di distrofia, la distrofia facio-scapolo-omerale (FSHD), malattia genetica ereditaria (uno ogni 20.000 abitanti) a trasmissione dominante, che si manifesta in età infantile e giovanile e provoca ipotrofia e debolezza a livello dei muscoli facciali, delle spalle e delle braccia con una probabilità di trasmissione da un individuo affetto alla propria prole del 50%, ha meno segreti.

La prof. ssa Rossella Tupler del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, insieme ai fisiologi guidati da Roberto Bottinelli dell’Università degli studi di Pavia e ai neurologi del Policlinico di Milano coordinati da Maurizio Moggio, ha condotto in proposito uno studio che ha portato alla definizione del fattore, ed in particolare del gene, scatenante la malattia.

La ricerca è partita sulla base delle conoscenze disponibili: era noto infatti che a provocare la FSHD era l’assenza di tratti di sequenze di DNA all’estremità del cromosoma 4. Tale regione di DNA contiene, infatti, un numero variabile di sequenze (chiamate in codice D4Z4), uguali tra loro e ripetute in un range che, in soggetti sani, è compreso tra le 11 e le 150 volte, mentre in soggetti malati si configura al di sotto delle undici ripetizioni: minore, dunque, è il numero delle ripetizioni maggiore è la gravità della malattia.

Gli studi della prof. ssa Rossella Tupler, i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale “Nature”, hanno spiegato in quale modo questa mancanza di tratti di DNA provochi la distrofia. E in specie si è rilevato che tale assenza fa sì che un gene, chiamato FRG1, rimanga sempre attivo.
Per verificare la validità delle teorie sono stati generati topi transgenici che presentassero questo gene iperfunzionante, la cui iperattività si è dimostrata fattore che induce la produzione di proteine normalmente assenti in un muscolo sano.

E’, quindi, un’iperattività genetica (con la relativa produzione di proteine nelle cellule muscolari) la causa scatenante la patologia e non una mutazione del DNA, fattore solitamente alla base dello sviluppo di malattie genetiche e, in particolare, delle forme di distrofia muscolare.
L’importanza di questa scoperta è notevole, poiché non solo fa progredire la ricerca e la conoscenza di questa patologia – che nelle forme più lievi può non affettare drammaticamente la vita di chi ne è colpito, mentre nelle espressioni più severe può portare fino alla paralisi -, ma perchè, come ha affermato la prof. ssa Rossella Tupler, “dovrebbe facilitare la comprensione delle basi biologiche della malattia e favorire la scoperta di terapie, oggi inesistenti, per attaccare la FSHD e fornire una nuova prospettiva per studiare le malattie genetiche.”

La portata di questa scoperta rinvia al fatto che essa introduce una nuova chiave di lettura per molte malattie genetiche. “Il modello molecolare – continua la prof. ssa Rossella Tupler – da noi proposto come causa di malattia è nuovo e potrebbe essere alla base di altre malattie genetiche, visto che il 40% del nostro patrimonio genetico è composto da sequenze ripetute. Inoltre, un modello analogo potrebbe anche aiutare a comprendere malattie complesse con una probabile base genetica come, per esempio, il diabete”.

Le ricerche condotte dalla prof. Rossella Tupler e dal suo gruppo sono state finanziate da Telethon, che si batte da anni nella lotta alle distrofie muscolari. Il finanziamento nel 2005 di Telethon al progetto di ricerca, coordinato dalla ricercatrice modenese ammonta a 427.600 euro per tre anni, mentre ammontano a circa 1milione 560.000 euro i fondi erogati in totale da Telethon per la ricerca sulla la distrofia facio-scapolo-omerale.