Sono state 507 le persone accolte finora (il dato è aggiornato al 7 marzo) nelle strutture individuate per il Piano Freddo del Comune di Bologna gestito da ASP Città di Bologna, di queste il 76,5% è di origine straniera.

I richiedenti asilo politico accolti sono 50, a questi si aggiungono altre 50 persone che hanno promosso ricorso in appello contro il diniego in primo grado all’istanza o hanno permessi di soggiorno per motivi umanitari, protezione sussidiaria o hanno ottenuto l’asilo politico. Complessivamente sono un centinaio tra richiedenti, titolari di protezione, ricorrenti e persone che hanno avuto il diniego.

Per le persone la cui domanda di asilo politico deve essere ancora esaminata il Comune ha chiesto alla Prefettura un reingresso nelle misure di prima accoglienza a partire dall’Hub regionale di via Mattei ma finora non c’è stato riscontro alla domanda posta dal servizio protezione internazionali di ASP. Alcune, tra queste 50 persone, non risultano tra l’altro aver mai avuto contatti con nessuna struttura di prima accoglienza in Italia mentre altri si sono allontanati da Cas (Centri di accoglienza straordinaria) presenti sul territorio nazionale e per loro è scattata la revoca delle misure di accoglienza come dispone la legge.

Come ogni anno i Servizi Sociali che si occupano del Piano Freddo si trovano, durante e al termine del periodo, a doversi confrontare con i territori di provenienza di chi ha beneficiato dell’accoglienza cittadina, per favorire il rientro nei Comuni di competenza e valutare misure appropriate per i casi di particolare fragilità.
In base alle valutazioni fatte finora, ma il dato potrà cambiare alla fine effettiva del servizio, l’accoglienza proseguirà nelle strutture aperte normalmente a Bologna per circa 50  persone che si trovano in condizioni di particolare vulnerabilità.

In questo contesto la decisione del Comune di Bologna di farsi capofila di uno Sprar (Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati) metropolitano assume anche il significato di ridurre in prospettiva la precarietà delle risposte della prima accoglienza straordinaria per strutturare percorsi in grado di accompagnare i richiedenti asilo verso condizioni di possibile autonomia, attivando misure di supporto tempestivo e fortemente orientate all’integrazione.