Sei colpi di pistola contro la porta a vetri della Pizzeria La Perla a Cadelbosco Sopra la notte tra il 31 gennaio e il primo febbraio, cinque colpi contro l’ampia vetrata della Pizzeria Piedigrotta 3 in via Emilia Ospizio a Reggio Emilia, la notte tra il 6 e il 7 febbraio, poi gli avvertimenti con tanto di ‘pizzino’ attaccati alla porta (in analogia a quanto avvenuto per la Perla e il Piedigrotta 3) ad altre due pizzerie di Reggio Emilia: Piedigrotta 2 e Paprika.

Questi ultimi due “pizzini” erano rimasti solo degli avvertimenti in quanto i carabinieri della Compagnia di Guastalla, della Stazione di Cadelbosco Sopra e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Reggio Emilia, coordinati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia, sottoposero a fermo di Polizia i fratelli C.A. di 20 anni, M.A. di 29 e M.A. di 22 che, secondo le indagini, tennero sotto tensione per due settimane ristoratori e pizzaioli di Reggio Emilia e provincia con richieste estorsive precedute da biglietti minacciosi dattiloscritti e seguite da esplosioni di pistola all’indirizzo delle attività commerciali.

La situazione dei tre fratelli ora però si è decisamente aggravata: le indagini congiuntamente condotte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Reggio Emilia e del Nucleo Investigativo di Piacenza, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna avrebbero consentito di accertare la matrice mafiosa della condotta delittuosa. I tre fratelli avrebbero agito per agevolare l’attività dell’associazione di stampo mafioso denominata Ndrangheta e in particolare del sodalizio ‘ndranghetisco emiliano la cui esistenza ed operatività è stata riconosciuta nell’ambio del processo Aemilia.

La D.ssa Beatrice Ronchi della D.D.A. di Bologna, concorde con le indagini condotte congiuntamente dai Carabinieri dei Nuclei Investigativi di Piacenza e Reggio Emilia, ha richiesto ed ottenuto dal GIP del Tribunale di Bologna un’ordinanza di custodia cautelare in carcere che è stata eseguita dai carabinieri che hanno raggiunto i tre destinatari nei rispettivi carcere dove peraltro sono ristretti per la stessa causa.

All’epoca del loro fermo, avvenuto a febbraio scorso, i carabinieri reggiani a seguito delle perquisizioni a carico degli indagati avevano sequestrato importante materiale probatorio tra cui l’auto e la moto usate in occasione degli atti intimidatori effettuati con le esplosioni di armi da fuoco all’indirizzo delle due pizzerie, capi di vestiario e soprattutto una macchina da scrivere ritenuta essere il mezzo con il quale sono stati approntati i “pizzini” contenenti le richieste estorsive.

I tre sono figli di F.A. 55enne, condannato per mafia nel processo Aemilia, che nel mese di novembre dell’anno scorso per circa 10 ore aveva creato forte apprensione asserragliandosi all’interno dell’ufficio postale di Pieve, a Reggio Emilia, con cinque ostaggi per poi essere arrestato dai carabinieri.